SE DE LUCA E LA CARFAGNA… “A QUALUNQUE COSTO”

Il “preambolo” è noioso ma d’obbligo. Perciò, perdonate la digressione.

In questi giorni c’è stato anche chi ha insinuato che il “banchiere” Draghi, sotto la regia del “dittatore” Mattarella, avrebbe commissariato i partiti politici e il Parlamento. Il Governo appena varato, e che da domani si presenterà alle Camere per le dichiarazioni programmatiche e il voto di fiducia, ha ben quindici ministri politici e appena otto tecnici. Nessun commissariamento, dunque. Draghi non è un improvvisatore e tanto meno un dilettante allo sbaraglio. Conosce profondamente la Costituzione. Ed ha proposto al Capo dello Stato una compagine governativa che realizza il massimo equilibrio possibile, secondo il suo punto di vista, tra centralità del Parlamento (espressione del consenso organizzato e raccolto dai partiti politici) e competenze tecniche individuate per affrontare la gravissima e complessa emergenza sanitaria, economica e sociale indotta dalla pandemia. Questo sul piano formale. Se il Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, ha dato il via libera a Draghi nominandone i ministri proposti, il capitolo è chiuso: nessuno continui a dire o a scrivere cavolate.

Sul piano sostanziale, il nuovo Governo potrà non piacere a Travaglio, alla Meloni, a Di Battista e a tant’ altra varia umanità, tutti dissenzienti con le loro sacrosante e motivate ragioni. Normalissimo e più che legittimo. Tuttavia, è altrettanto normale e doveroso concedere a Draghi il beneficio della prova: siamo messi talmente male – sia con l’emergenza sanitaria (pensate per un attimo al disastro vaccinazioni) sia con quelle economica e sociale – che nessuno sarà disponibile a fare sconti a chicchessia, comunque si chiami, e foss’anche sceso dal cielo, se non saremo portati fuori dal tunnel. Dobbiamo avere la pazienza di attendere il minimo indispensabile, dunque. E del resto non sarà un tempo biblico: capiremo abbastanza presto se sia stato utile cambiare Governo, sacrificare Giuseppe Conte, concederci un congruo periodo di “pace” o “unità” o “collaborazione” politica nazionale che dir si voglia.

Di certo, in tutta questa storia – non al di sopra, ma sicuramente al di là della stessa dialettica democratica – c’è oggi più marcatamente che mai la necessità di mettere in sicurezza la comunità italiana. Lo ha ben argomentato Antonio Polito, sabato scorso per il Corriere della Sera, con l’editoriale apparso sotto un titolo che va dritto all’essenza del problema: “L’interesse nazionale”. Ne prendo in prestito il passaggio conclusivo per una mia riflessione finale.

Scrive Polito: “Poco meno di nove anni fa Draghi pronunciò le tre parole, “Whatever it takes”, che a giudizio unanime salvarono l’euro e con esso il nostro Paese. Oggi lo stesso uomo si accinge a un’operazione che possiamo e dobbiamo tradurre in italiano: “A qualunque costo”. Allora aveva dietro di sé il “bazooka” della Banca centrale europea, che i mercati non osarono sfidare. Ma oggi non è da meno: ha dietro di sé un Paese che vuole farcela, e che quando vuole ce la fa”.

La riflessione finale. C’è qualcuno disposto a scommettere che in Italia ci sia un cittadino, uno soltanto, naturalmente sano di testa, che non voglia uscire da questo maledetto tunnel, e che non sia disposto a tutto pur di contribuire a farcela? La risposta è scontata. Ciò che non può darsi per scontato, invece, è la volontà – o capacità – della politica, ovvero di chi è impegnato in ruoli chiave della politica e delle istituzioni, di comprendere quanto forte sia quella volontà dei cittadini; e quanto per essi sia ormai insopportabile – nel pieno dell’emergenza che viviamo – ogni diatriba, ogni personalismo, ogni contrapposizione strumentale che anziché favorire e accelerare la soluzione dei problemi ne diventi ostacolo, indifferentemente se si tratti di piccole o grandi questioni.

C’è da salvaguardare l’interesse nazionale, innanzitutto. E Draghi ce la può fare – avendo alle spalle un Paese che vuole farcela – se tra il Paese dei cittadini e il governo non si frapponga con azioni frenanti la cattiva politica. Il rischio c’è ed è purtroppo molto alto. Senza contare le patologie cronicizzate (perché sempre tollerate) di ampia parte della nostra burocrazia, la crisi profonda dei partiti ha via via partorito una classe dirigente non all’altezza dei compiti ordinari, figurarsi quelli straordinari che le tre emergenze “pandemiche” impongono. Ciò spiega e giustifica il frequente ricorso alle “riserve” eccellenti del nostro Paese. E spiega anche, ma non giustifica, l’ostruzionismo che questi nostri partiti così malridotti contrappongono a scelte coraggiose e giuste. Lo stesso Draghi, “invocato” da Mattarella per l’ardua impresa di salvare l’Italia, ha corso il rischio (paradosso dei paradossi) di fallire la formazione del governo a causa di ideologismi e pregiudizi conditi di stupidità, spesso di cinica malafede, d’una classe dirigente politica arrivata al potere per caso.

Tuttavia, abbiamo il dovere di farcela “Whatever it takes”. E dobbiamo essere ottimisti. E alimentare la speranza affinché ciò accada. Per stare alle cose di casa nostra, alle cose della Campania, abbiamo oggi una opportunità che può rappresentare, se responsabilmente colta, il paradigma dei comportamenti istituzionali corretti e coerenti che servono per potercela fare. Questa opportunità è rappresentata dal presidente della Regione, Vincenzo De Luca, e dalla ministra per il Sud e la Coesione Territoriale, Mara Carfagna.

Ragioniamoci su in rapida sintesi. Il presidente e la ministra provengono da due mondi, non solo politici, diametralmente opposti. De Luca è un ex Pci oggi Pd. Ma nel Pci prima e nel Pd ancora oggi ci è stato e ci sta da posizioni sempre molto critiche: forzando un bel po’, si potrebbe definire un “anarchico individuale democratico”. Mara Carfagna è politicamente nata in Forza Italia. Con De Luca ha in comune l’essere anche lei salernitana: invero solo al 50 per cento, avendo nelle vene metà sangue irpino. In qualche misura, anche lei, come De Luca, già da un paio d’anni ha fortemente contestato la linea di Forza Italia, troppo schiacciata sulla Lega, ed è stata lì lì per “scindersi”.

Insomma, due caratteri naturalmente ribelli, accomunati da una grande volontà di fare e di riuscire, “a qualsiasi costo”. In comune il presidente e la ministra hanno anche un’altra cosa: si detestano. Di “complimenti” se ne sono scambiati senza risparmio, e mai alle reciproche offese sono seguite le scuse.

Riassumendo: contrapposti sul piano politico, caratteri forti e puntigliosi, tendenza ad essere e mostrarsi primi della classe, sufficientemente cinici da gioire se l’altro (l’altra) passa un guaio (politico), pur tuttavia oggi rappresentanti istituzionali di due partiti storicamente antitetici che però si ritrovano insieme nel Governo Draghi. È la condizione di partenza peggiore per una qualsiasi forma di genuina collaborazione.

Epperò – eccoci al punto – c’è “l’interesse nazionale” di mezzo. Un interesse che mai come questa volta coincide con l’interesse regionale anche della Campania: perché se va bene il Governo centrale, ne beneficia la Campania al pari delle altre regioni; e se il governo regionale fa al meglio la sua parte, contribuisce all’idea di Paese che vuole farcela e che per questo obiettivo sostiene l’impresa del Governo Draghi per salvare l’Italia.

Il presidente De Luca e la ministra Carfagna. Sono soltanto un esempio. Possono diventare un ottimo esempio di collaborazione tra “diversi” e “avversari” che concordano la pace, rinviano la guerra a tempi più spensierati, e intanto lavorano insieme per la Campania, per il Sud e innanzitutto per l’interesse nazionale, al di sopra ogni divisione politica, ideologica, personale. “Whatever it takes”.

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