Le parole di Dante – 2 / Pane amaro
Nel diciassettesimo canto del Paradiso, Dante interroga il suo trisavolo Cacciaguida su ciò che di grave ha udito sul suo futuro esilio, durante il suo viaggio nell’Inferno e Purgatorio, da vari anime (Farinata, Brunetto Latini, Vanni Fucci, Corrado Malaspina, Oderisi da Gubbio), affinché egli possa essere più preparato a resistere ai mali che gli stanno per giungere, in quanto “saetta previsa vien più lenta”.
E Cacciaguida gli rivela che il suo primo dolore dell’esilio sarà il dover abbandonare patria, famiglia ed amici (”tu lascerai ogni cosa diletta più caramente”) e dovrà poi sperimentare l’amarezza del pane altrui, perché bagnato dalle sue lacrime, e la sofferenza di dover provare più volte prima che la casa d’altri si apra ad ospitarlo (“tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale”).
Sono, questi, dolori di sempre, perché provocati dalla sofferenza degli affetti e dalla dignità di ogni essere umano.
Dice personalmente quel fiorentino esule “Peregrino quasi mendicando sono andato….Veramente io sono stato legno senza vela e senza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade” (Conv.,I,m,4).
La triste prospettiva della sua futura vita è soltanto addolcita dalla previsione che Cacciaguida gli rivela circa il rifugio e l’onore che Dante riceverà almeno dagli Scaligeri di Verona (“Lo primo tuo rifugio e il primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo”), la cui benevolenza saprà così amichevole e generosa, che lo Scaligero, contrariamente all’uso, saprà addirittura prevenire i desideri dell’ospite, donando prima ancora che si chieda (“…in te avrà sì benigno riguardo che del fare e del chiedere, tra voi due, fia primo quel che, tra li altri, è più tardo”).
In tempi mutati, la sofferenza degli esiliati si può dire sostituita da quella, molto simile, degli attuali migranti”, per motivi di lavoro, povertà, guerre.
Basta ricordare, tra le tante, le melodie (che sono anch’esse poesie) di chi, per inseguire la sorte, deve “dire addio al cortile e andarsene sognando”, ma poi in un nuovo “mondo di luci sentirsi nessuno, non saper fare niente tra gente che sa tutto e non avere i soldi neppure per tornare”; o dell’emigrante napoletano che, per lavoro, nemmeno a Natale rientrerà là dove ha perduto ”patria, casa e amore” ed esclama “ …e ce ne costa lacreme st’America, a nui napulitane….pe’ nuie ca nce chiagnimmo ‘o cielo ‘e Napule, comm’è amaro stu ppane!” .
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