Avanti con Draghi senza se e senza ma
Lasciamo ai politologi di fine intelletto, seppure un tantino spocchiosi e talvolta noiosi, il compito di teorizzare gli scenari futuri della politica italiana dopo l’indispensabile fase di decantazione che sta per aprirsi con il Governo Draghi.
Qui ragioniamo sul presente, con quel tanto di pragmatismo che serve per evitare di perderci in chiacchiere. C’è ancora chi dubita che il Governo Draghi nascerà. A chi vorrebbe, senza il coraggio di confessarlo, che fallisse il tentativo del nostro Mario internazionale, diciamo: rassegnatevi. Agli scettici in buona fede, ossia alla stragrande maggioranza di italiani preoccupati delle sorti personali e della collettività nazionale, sentiamo di poter consigliare d’essere ottimisti: Draghi, non solo ce la farà, quant’ anche e soprattutto riuscirà a metter su il Governo che oggi serve all’Italia, ovvero una squadra di alto profilo, com’è nel mandato chiaro e rigoroso che gli ha affidato il Presidente della Repubblica.
Non bisogna essere né politologi né chiaroveggenti per intuire che le cose andranno così. E ci mettiamo volentieri la faccia aggiungendo che i tempi di soluzione della crisi saranno tutt’altro che biblici: male che vada, sabato prossimo avremo il nuovo Governo bell’e pronto e perfino “giurato”. Basta soltanto un pizzico di realismo, dopo aver accantonato buoni desideri e cattive suggestioni, per intuire e convincersi che così andranno le cose. Ragioniamo, mettendoci dentro tutta la risorsa di serietà di cui ciascuno di noi, chi più chi meno, è dotato. Ecco.
Oltre a mariuoli, parassiti, carogne ed autentici banditi, la Prima Repubblica ci ha donato e ha fatto resistere sulla scena politica persone dello spessore intellettuale e morale di Sergio Mattarella. Mai e poi mai il Presidente avrebbe coinvolto in questa delicatissima missione una personalità come Draghi senza garantirgli una delega illimitata per la formazione del Governo. Va ricordato, al riguardo, che il Capo dello Stato ha messo l’accento su due punti: l’alto profilo dei ministri, nessun vincolo di formula politica. Tradotto significa piena fiducia in Draghi, niente compromessi al ribasso: o è questo oppure si sciolgono le Camere.
Elezioni anticipate entro giugno se Draghi dovesse essere costretto a rinunciare a causa di eventuali veti incrociati delle forze in campo. Ecco il deterrente, l’arma convenzionale e legittima nelle mani del Presidente della Repubblica per dire ai singoli partiti politici e ai loro potenziali raggruppamenti in alleanze che la ricreazione è finita, che hanno avuto tutto il tempo necessario per mettere insieme una maggioranza parlamentare, che hanno clamorosamente fallito l’obiettivo e devono ora fare, non un passo, ma un sostanzioso salto indietro.
Non bisogna essere infallibili politologi né chiaroveggenti da Nobel, dunque, per intuire che diversamente da così le cose non potranno andare. Magari la soluzione non piacerà ad Alessandro Di Battista da una parte e a Marco Travaglio dall’altra, convinti come sono d’essere predestinati a presiedere la Suprema Corte del Giudizio Universale, quando sarà. E non piacerà a Giuseppe Conte, che dal nobile impegno di “Avvocato degli italiani” si era ormai ridotto al modestissimo ruolo di difensore della propria poltrona, anche grazie al Pd di Zingaretti, che ne aveva addirittura avviato la causa di beatificazione, non si capisce in base a quale evidenza di miracoli compiuti. “Giuseppi” Conte quasi paragonato al (politico) Servo di Dio Don Luigi Sturzo: da quando hanno perso la testa per i 5Stelle, Zingaretti e compagni soffrono di pseudologia fantastica: s’ inventano una bugia e finiscono col credere che sia una verità.
La soluzione Draghi non piacerà nemmeno a Leu, che sarà pure una Comunità Politica impreziosita dal Dogma dell’Infallibilità, ma il cui pensiero (che poi si traduce in voti) viene comunque percepito da una percentuale irrisoria di italiani. All’estremo opposto, di certo non farà i salti di gioia Salvini, che però, illuminato da quel saggio e intelligente d’un Giorgetti, dopo aver abbaiato alla luna si è messo a scodinzolare davanti al Presidente del Consiglio incaricato, forse sperando nell’osso. Non piacerà, infine, ai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, invero l’unica ad aver detto chiaro e tondo che non ci sta e non ci sarà.
Epperò il finale è già scritto ed è inevitabile: perché, al di là di ciò che appare, le elezioni anticipate non le vuole seriamente nessuna forza politica (salvo la Meloni, appunto), e soprattutto non le vogliono i Signori Parlamentari, ben consci che – una volta a casa – la stragrande maggioranza di loro ci resterà.
Entro fine settimana Mario Draghi sarà a Palazzo Chigi con il suo Governo di alto profilo, dunque. E dovremmo esserne tutti fieri e lieti. Fieri perché l’Italia rivestirà davanti al mondo i panni della Serietà e della Competenza dopo due anni – dalla falsa svolta del 4 marzo 2018 – di insopportabili sceneggiate politiche. Lieti perché, seppure ancora immersi nella pandemia fino al collo, avremo finalmente un’idea definita e chiara della strada che si vorrà percorrere per uscire dall’emergenza economica e sociale. Avremo, in altre parole, l’idea d’una prospettiva e la ragione d’una speranza, cose che il Governo dimissionario – troppo soggiacente a contraddizioni e conflitti interni, altro che Italia Viva guastafeste! – non è stato capace di darci.
Abbiamo titolato il nostro più recente editoriale: “Bravo, Renzi! Ma ora completa l’opera: fatti da parte (e non solo tu)”, giusto per sottolineare la necessità del salto indietro che i partiti, nessuno escluso, sono chiamati a fare per dare prova di responsabilità e di serietà in questo delicatissimo passaggio della vita istituzionale. Pochi giorni fa, nell’impietosa babele dei leader politici sull’incarico a Draghi, Massimo Cacciari ha sintetizzato il concetto, con impareggiabile efficacia, in una battuta: “Hanno fallito, si tacciano!”!
È un sacrificio duro, ma indispensabile
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