Storie di gente comune al tempo del Covid – 3 / Erika e la bellezza
– di Anna Carmen Lo Calzo –
Un anno fa i giornalisti dei tg inviati a Wuhan sembravano essere su un altro pianeta o sul set di un film di Ridley Scott. La pandemia si chiamava ancora “epidemia” e noi ci sentivamo poco più che spettatori. Ma in men che non si dica, il virus sconosciuto ha fatto il giro del mondo e ci ha trasformato in prigionieri reali. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e le maschere che indossiamo ogni giorno per proteggerci dal virus lasciano proprio agli occhi il compito di esprimere tutto: il disagio, le paure, i dubbi, ma anche la voglia di continuare a vivere, di resistere per esistere. Il ruolo degli occhi è fondamentale in assenza di contatto e si intensifica quando la distanza a volte ci rende quasi disumani. Mi sono chiesta come questa pandemia stia cambiando la percezione della bellezza, dell’attrazione fisica tra sconosciuti e il concetto del benessere. La voglia di prenderci cura di noi stessi riguarda ormai solo l’ossessione della protezione dal Covid o siamo ancora capaci di provare desideri ed emozioni. Come vive il rapporto con il suo aspetto fisico e con quello degli altri l’essere umano che vive sempre distanziato, preoccupato, prevenuto?
Ho incontrato Erika, una esperta di bellezza e di benessere di origini irpine. È estetista e lavora in un centro nella semi periferia di Firenze. Nel gennaio 2020 aveva raggiunto il suo sogno: diventare socia e dedicarsi intensamente all’attività che ama con l’intenzione di costruirsi un solido futuro. Dopo solo due mesi, il Covid ha abbassato la saracinesca del suo centro, come quella dei centri di migliaia di professioniste in tutto il Paese, da nord a sud. Una categoria messa particolarmente in ginocchio dagli arcobaleni dei lockdown, un dramma che, oltre alle saracinesche, ha abbassato anche il coraggio, la fiducia, la speranza e, ahimè, i guadagni a fine mese. Ho chiesto a Erika di raccontarmi cosa è cambiato nelle persone che, lockdown permettendo, frequentano ancora il suo centro. Come vivono il rapporto con il loro corpo in balìa di un nemico che sfida le migliori intenzioni di rimanere positivi, almeno nello spirito, visto che nel corpo dobbiamo essere negativi? La risposta ha avuto bisogno di qualche momento di riflessione, ma alla fine Erika mi ha sorriso con gli occhi, bellissimi e truccati benissimo, e mi ha detto: “Non ho dubbi. La maggior parte dei miei clienti, sia uomini che donne, mi raccontano dei problemi sopravvenuti a causa della pandemia, talvolta si tratta di tragedie come la perdita dei propri cari. Ma quasi nessuno di loro ha mai avuto intenzione di lasciarsi andare, di farsi sopraffare dal dolore e di smettere di vivere. Prevale la forza, la speranza che tutto possa finire presto, il guardare oltre con ottimismo.
Prendersi cura di sé in questo momento significa innanzitutto proteggersi, proteggere i propri cari dal Covid, difendere il proprio posto di lavoro o la propria attività. Ma significa anche rimanere lucidi per non perdere di vista chi siamo e chi saremo quando tutto sarà finito. Il sentirsi ancora una donna o un uomo, e non solo un individuo sopraffatto dalla paura del virus, non è un peccato o una superficialità. Significa benessere mentale, forza, equilibrio, cose alle quali non possiamo e non dobbiamo mai rinunciare.”
Sono d’accordo. La vita è fatta di condivisione, di percezioni e di belle emozioni anche nei momenti più tragici. Un approccio sano con ciò che accade intorno a noi, nel bene e nel male, parte dal rapporto con noi stessi e dal rispetto verso noi stessi. La bellezza si esprime in tante forme: nell’arte, nella scienza, nella musica, nella letteratura, ma anche attraverso ciascuno di noi. La bellezza non è perfezione, non è superficie, non è immagine. Ma l’immagine che diamo di noi stessi è spesso il termometro della nostra dignità e della capacità di combattere, di resistere, di vincere.
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