UN GOVERNO DI NOME “CONTE” MA DI FATTO “TRAVAGLIO

Perdonate la premessa “digressiva” che spiega anche l’uso della prima persona per l’editoriale di oggi.

Dunque, in questi ultimi giorni, praticamente da quando Matteo Renzi ha aperto la crisi di governo, seguo le vicende della politica nazionale – diciamo così – più da comune cittadino che da giornalista, cosa – quest’ultima – che quotidianamente sono tenuto a fare. Il motivo è uno soltanto: c’è di mezzo il dramma collettivo della pandemia, la gestione del suo corso dipende anche dalle scelte politiche che si fanno, quindi dalla qualità e dalla stabilità del governo in carica.

In altre parole, e per dirla tutta, non ci fosse stato in giro questo maledetto Covid, per di più capricciosamente (e pericolosamente) “variante”, in questi giorni di crisi di governo avrei volentieri evitato sia di aprire i giornali che di seguire tg e inguardabili talk show sull’argomento, tanto son pieni di faziosità e ipocrisie. Aggiungo, per completezza, che Matteo Renzi non mi sta affatto simpatico: non più da quando – eccellente promessa politica fino ad un certo momento – cominciò a soccombere alla parte – chiamiamola così – “Mister Hyde” del suo Io decisamente doppio, forse addirittura triplo, ancorché dotato di rara genialità politica nel Bene, nel Male e perfino nel combinato disposto di Bene e Male. Fine della digressione.

Orbene, in questi giorni mi sono chiesto, e continuo a chiedermi, quanti voti prenderebbe l’ottimo – sinceramente ottimo! – giornalista Marco Travaglio se decidesse di “scendere in campo”; oppure – per dirla in modo nobile con Mario Monti – di “salire in politica” candidandosi a Premier, magari sotto il simbolo del “Fatto Quotidiano”.

Chiarisco subito che la domanda che continuo a pormi non è un mero esercizio accademico. Sostituite il nome di Marco Travaglio con quello di Giuseppe Conte e il senso appare del tutto chiaro. È un po’ come coprire la realtà con la proverbiale foglia di fico, infatti, continuare a chiamare l’attuale compagine di Palazzo Chigi “Governo Conte”. Il Gabinetto nato dopo il suicidio politico di Salvini è di fatto il “Governo Travaglio”. Fu il direttore del Fatto Quotidiano ad indicare per primo la soluzione 5Stelle-Pd, sempre con Conte in sella, quando il Capo della Lega mandò all’aria la coalizione di maggioranza con i grillini. Ed è stato oggi ancora lui, Travaglio, a dettare la linea ai 5Stelle e al Pd: niente crisi, basta con Renzi, Conte non si dimetta ma vada alla conta in Parlamento dopo aver raccattato i voti dei “Responsabili”, all’uopo ribattezzati “Costruttori”, come se cambiando il termine identificativo si potesse modificare la vergognosa essenza dei voltagabbana.

Tutto lecito e legittimo? Certo che sì. La nostra è una democrazia parlamentare, le maggioranze e i governi nascono e muoiono in Parlamento se ci sono o non ci sono i numeri. Amen. Ciò che guasta e rende tutto molto “sporco”, anche se formalmente lecito e legittimo, è che il suggerimento – ma potremmo chiamarlo diktat, visto che Pd e 5Stelle pendono dalle labbra del direttore del Fatto Quotidiano – è che la proposta indecente arrivi da uno come Travaglio che da sempre bacchetta (e fa bene!) chiunque si discosti dal Primo Comandamento della politica che è l’etica.

Diciamolo pure: l’implacabile fustigatore dei trasformisti che oggi incoraggia sostanzialmente il mercato del trasformismo non è una prova esaltante di coerenza intellettuale. Né può bastare la spiegazione ammantata di fragilissimo pragmatismo che Travaglio ne ha dato giovedì scorso a Piazza Pulita su La 7, dove ha detto che un Conte 2 bis o ter con i voltagabbana è il meno peggio dei peggiori governi che si potrebbero fare con Renzi oppure con la grande ammucchiata di unità nazionale. Nelle emergenze drammatiche come quella che stiamo vivendo, i governi si fanno con le migliori risorse di cui il Paese dispone, non con chiunque, peggio ancora se si tratta di voltagabbana, qualunquisti, cinici opportunisti senza né arte né parte.

Tuttavia, va da sé, il problema non è Travaglio, che fa il suo gioco e lo sa fare bene. Il problema è che Pd e 5Stelle fanno ciò che Travaglio dice di loro di fare, così dimostrando – non solo di essere terrorizzati dall’eventuale voto anticipato, e si capisce – quant’ anche e soprattutto di non avere nella testa nessuna strategia politica per l’oggi e men che meno per domani, se non la propria galleggiante sopravvivenza.

Eppure – verrebbe da dire – ci fosse un centrodestra attrezzato di idee persuasive e quindi invincibile, si potrebbe anche comprendere. Il dramma di questo centrosinistra – al netto del “Non Pensiero” dei 5Stelle (non a caso pensa Travaglio per loro) – è di non avere ancora capito che il centrodestra vive e si nutre dell’insipienza e degli errori del Pd e di chi ha ridotto il Pd nell’attuale condizione d’encefalogramma politico piatto: un “Chi” che non è assolutamente “soltanto” Matteo Renzi.

Ed anzi, una volta tanto che l’odioso toscanaccio ha girato, non il dito, ma le mani nell’azione politica sostanzialmente nulla del Governo Conte, il Pd – questo Pd – ha avuto solo la lucidità di pensare a stesso agitando il banalissimo alibi del Bene Supremo del Paese. Certo, oltre alle mani, Renzi ha messo nella piaga anche i piedi, com’è nel suo pessimo Io politico. Epperò il Partito Democratico non aiuta a correggere un errore facendone a sua volta un altro di gran lunga peggiore. Senza Renzi si può anche andare avanti. Ma con ciò che abbiamo sin qui visto, qualcuno si è chiesto “dove” andiamo con un Conte 2 bis od anche un Conte Ter senza radicali cambiamenti di rotta e di ministri?

Il maledetto equivoco di questi giorni è che si sta ragionando molto di chi ha provocato la crisi “di” governo, cioè Renzi, additandolo al pubblico ludibrio; ma molto poco, anzi niente, di crisi “del” governo: una crisi profonda, comatosa, che è insorta nel momento stesso in cui è nato il governo 5Stelle-Pd-Leu suggerito da Travaglio; che si è alimentata strada facendo di conflitti interni, di scelte sbagliate, di assoluta carenza strategica nella drammatica congiuntura economica e sociale indotta dall’emergenza sanitaria; e che – dulcis in fundo – si è immaginato di risolvere lasciando che si concentrassero poteri di fatto straordinari nelle mani di un Premier che non pare abbia parvenza almeno dell’ombra d’un De Gasperi.

Pensate: ancora a Piazza Pulita, giovedì scorso, ci stava provando proprio un irpino indubitabilmente illustre – Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale – a spiegare “per alligata et probata” che in questa crisi si sta confondendo la “Febbre” (misurata da Renzi) con l’Infezione (l’inadeguatezza del governo), ma non ha avuto sufficiente spazio per collocare in primo piano il tema vero del dibattito. A riprova che altre logiche, non quella della utilità collettiva, orientano la discussione e la probabile soluzione della crisi.

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