Vi racconto come Milano si rialza dal Covid
– di Anna Carmen Lo Calzo –
La Befana quest’anno si è portata via le Feste senza salutare, è volata via “in punta di scopa” rispettando le restrizioni e gli arcobaleni dei lockdown che scandiscono le nostre giornate in tempo di pandemia. È arrivata munita di protezioni eccezionali e di un permesso speciale per poter atterrare nella notte, durante ilcoprifuoco. Quest’anno per lei l’impatto è stato doppio: quello con il suolo e quello con il virus, povera Befana. Alla sua età ha rischiato parecchio e alla fine si è pure dimenticata (o forse si è elegantemente astenuta) di lasciarci il carbone: siamo già stati puniti abbastanza.
La sera del 6 gennaio 2021, a quasi un anno dallo scoppio della pandemia, 3 ore prima del coprifuoco, ho deciso di sfidare il lockdown rosso concedendomi una passeggiata in Piazza Duomo. Il nostro Duomo sembra sempre più maestoso e misterioso in questa sospensione da Covid. Appare solitario, come lo vediamospesso in televisione e come figurerà nei libri di storia quandotutto sarà finito.
Mentre passeggiavo osservando i giochi di luce tra le guglie e imeravigliosi palazzi circostanti, la mia attenzione è stata attirata da un gruppo di individui vestiti da infermieri tipo “reparto Covid”. Maschere, guanti, occhiali trasparenti ed enormi visiere,sembravano dirigersi verso una situazione di emergenza lì, a pochipassi da me. Marciavano in gruppo e in silenzio, diretti verso Corso Vittorio Emanuele, tutti con lo stesso passo, a mo’ di soldatini. Mi sono guardata intorno per cercare di capire cosa stesse succedendo, se ci fosse un’ambulanza ad attenderli. Ma per fortuna nulla di tutto ciò. Qualcuno di loro trainava pesanti casse a rotelle. Come seconda opzione, un po’ più positiva, ho pensato ad un set di un film sulla pandemia, ma intorno a loro non c’era nessuna troupe, nessun regista. Curiosa, mi sono avvicinata al gruppo e improvvisamente è apparso insieme a loro uno dei tanti clochard che “abitano” nel quadrilatero milanese. Il capo della “banda mascherata da infermieri Covid” lo ha salutato dandogliuna carezza sul cappotto anteguerra e gli ha chiesto: “Di cosa hai bisogno? Hai fame? Hai bisogno di coperte? Dove sono i tuoi amici?”.
Sono rimasta senza parole, ho provato una forte emozione e, per assurdo, mi sono sentita una privilegiata. Non mi ero mai trovata in una situazione simile, non avevo mai assistito ad una scena di tale intensità umana. Tutto così spontaneo, così toccante. Non ho resistito e, rischiando l’invadenza, mi sono rivolta ad una delle ragazze dell’ “esercito della salvezza” e le chiesto: “Chi siete? Quanti siete? Da dove venite?”. Naturalmente mi sono astenuta dal chiedere “un fiorino”. La battuta sarebbe stata decisamente fuori luogo!
La risposta è arrivata corale da tutto il gruppo che, nel frattempo, si era accorto della mia presenza e ne era rimasto sorpreso.“Siamo dei semplici volontari che hanno deciso di uscire di casaper cercare le persone che hanno bisogno”. La mia seconda domanda è stata: “Come vi chiamate? Avete un sito? Siete un’associazione alla quale si può aderire?”. La seconda e ultimarisposta è stata: “No, siamo solo noi, semplicemente insieme per chi ha bisogno. Ci siamo organizzati con “maschere, mute, pinne” per proteggerci dal virus e portiamo viveri e qualche altra cosa necessaria alle persone che vivono per strada in queste notti gelide”.
Già, le notti gelide del coprifuoco. Che contrasto assurdo. In questa sospensione surreale nella quale il coprifuoco obbliga noi fortunati a rientrare al calduccio alle ore 22, le persone che non hanno niente non vengono più accolte nemmeno nei dormitori a causa del maledetto virus e per loro il coprifuoco si risolve con un gradino gelato ricoperto da pezzi di cartone, lo stesso che occupano durante il giorno. Per i più fortunati ho visto piccole tende canadesi una attaccata all’altra, come a creare l’illusione di un piccolo campeggio. Il tutto è veramente straziante. Ebbene, il gruppo di giovani “angeli milanesi” che ho incontrato la sera del 6 gennaio e che hanno lasciato il comodo divano di casa dei genitori o dei nonni per venire ad aiutare queste anime dimenticate da tutti, in questo momento sono il simbolo di Milano.
Sono semplicemente persone, senza marchio, senza etichetta, senza profilo sui social, senza nome. Non vogliono essere fotografati, non vogliono dire come si chiamano, non vogliono finire né sui social né altrove, non hanno bisogno di autocelebrarsi e di darsi in pasto alle ipocrisie. Quello che mi ha colpito di loro è stata la “milanesità”, quella discrezione e quella sobrietà che vanno di pari passo con il rispetto per la dignità e per la sofferenza delle persone che aiutano. Oltre ai viveri, questi angeli offrivanosorrisi e carezze prudenti, ovviamente, ma vere. I loro occhi mostravano una empatia rara e autentica che non dimenticherò mai. Ho ricevuto da loro un messaggio importante: Milano c’è, vuole esserci, vuole rialzarsi e aiutare a rialzarsi coloro che stanno precipitando.
Milano, paradigma dell’Italia e dell’Europa economicamente più avanzata, è pronta a rialzare tutte le saracinesche non appena le sarà consentito farlo dai decreti “arcobaleno” in continuo mutamento. Ma questo non basta: la città, durante le Feste, ha voluto dare un segnale forte, che va oltre il riscatto e la ripresa economica delle attività commerciali, dei servizi e dei consumi. C’è un dramma nel dramma che la attraversa in ogni direzioneperché da quando è scoppiata la pandemia le fasce sociali più deboli sono allo stremo e Milano non vuole fare finta di non vedere. Rialzarsi dal Covid per Milano significa, per quanto possibile, aiutare anche loro. I milanesi stanno dimostrando di essere ancora capaci di sognare il miracolo per poi cercare di realizzarlo. Almeno ci provano. La concretezza, l’intraprendenza, l’iniziativa e l’ambizione sono nel dna di questa metropoli e vengono messi a disposizione di questa grave emergenza. Instancabile, selettiva, spietata e aggressiva, Milano vuole ancora vincere ed essere esempio eccellente di civiltà, di evoluzione, di soluzione. Un progetto ambizioso, ma sono in tanti a crederci e a metterci faccia, corpo e materia prima. Le maschere coprono la bocca e il naso, ma gli occhi e le orecchie rimangono aperti per poter intercettare bisogni e necessità. È solo questione di volontà e Milano vuole.
Non può esserci guerra, calamità, pandemia che possa fermare l’uomo dotato di intelligenza, oltre che di compassione, nella sua accezione più profonda e autentica. Una società evoluta si distingue per la capacità di generare ricchezza, benessere e opportunità per tutti, ma anche per il coraggio e per la volontà di aggredire le tragedie con soluzioni concrete. La pandemia non deve essere il pretesto per dimenticarsi degli ultimi con la scusa delle difficoltà e della crisi che ci affossa. Può invece rappresentare l’occasione per dimostrare che siamo un “esercito della salvezza” in perenne azione per noi stessi e per gli altri, senza distinzione. Gli “angeli milanesi” sono vincenti e ci hanno dimostrato che il nemico si combatte anche con iniezioni di fiducia e di altruismo.
A proposito di iniezioni, di fiducia, di altruismo e di armi vincenti: il vaccino anti Covid sta arrivando, in parte è già arrivato, e la maggior parte dei milanesi lo attende a “braccia scoperte”. Il vaccino, insieme alla fiducia, sarà l’iniezione letale che distruggerà il virus maledetto e che ci permetterà di tornare a vivere, tutti, come in fondo meritiamo.
Buon 2021
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