IL COVID E IL DOVERE DEGLI ADULTI DI TRASMETTERE OTTIMISMO AI GIOVANI
Ho conservato un messaggio di Buon 2021. È di un mio amico del napoletano, un imprenditore che lavora 16 ore al giorno, dotato di intelligenza notevole, sano pragmatismo e un profilo umano decisamente raro in chi per mestiere accumula profitti.
Il messaggio è il seguente: “Il Covid ci ha messi in ginocchio. Ma noi adulti abbiamo il dovere di tuffarci in questo Nuovo Anno, caricarci di ottimismo e trasmetterlo ai nostri giovani, che sono tutti scoraggiati. Se non lo facessimo, saremmo dei vili: i nostri giovani hanno bisogno di noi”.
Nei giorni scorsi ho letto e riletto quelle parole, come se stessi cercando la risposta ad una domanda mai fatta. Ieri sera, rileggendo ancora, ho azzardato, non “la”, ma “le” risposte che noi adulti abbiamo il dovere di dare – qui e subito, prima che sia troppo tardi – alle domande che i nostri ragazzi non ci fanno più perché scoraggiati – appunto – dai pessimi esempi che si forniscono in giro, non solo nel mondo politico-istituzionale.
Nel fondo del Corsera di ieri, lo scrittore Paolo Giordano ha affondato le dita di tutt’e due le mani nella piaga della Scuola al tempo del Covid. Non saprei dare risposta migliore della sua nemmeno a pensarci su un anno. Sul tema il governo si è mosso e continua a muoversi nella massima confusione, con una incertezza decisionale, soprattutto per le scuole superiori, che è frutto della incertezza scientifica. Sicché “… le vittime designate della disfunzionalità collettiva – suggerisce Giordano – sono, ancora una volta, i ragazzi e le ragazze delle superiori, gli stessi e le stesse che hanno visto la loro routine, la loro istruzione e la loro socialità squarciate più a lungo. E che iniziano ormai a soffrire visibilmente”: conclusione parallela a quella dei “nostri giovani tutti scoraggiati” del mio amico imprenditore.
Per tentare di rimettere le cose nel giusto ordine, riparare il danno fin qui fatto, tendere alla normalità, la risposta di Giordano è l’assunzione, da parte del governo, di “… Una strategia alternativa che sia migliore di questa intermittenza snervante, migliore delle soluzioni aprioristiche e del tutto o niente”. Bisogna, insomma, ripartire dai “dati”, cioè da quanto effettivamente la didattica in presenza – con tutto ciò che significa anche in termini di mobilità e socialità – incide sulla diffusione del contagio. E partire dai dati significa realizzare quel tracciamento rigoroso da più parti invocato ma mai fatto.
Non c’è solo l’istruzione, dalle elementari all’università, chiaramente, anche se essa resta il pilastro fondamentale. Per trasmettere ottimismo ai nostri ragazzi è indispensabile, se non progettare nei dettagli il futuro, almeno abbozzarlo. È ciò che al momento non si vede e su cui bisogna concentrare subito ogni sforzo, comunque tenendo ben presente che la responsabilità del “disegno” non ricade esclusivamente sulle spalle delle istituzioni e della politica. Classe dirigente è un concetto che coinvolge l’insieme dei soggetti che partecipano ai processi di sviluppo da protagonisti, con gli onori ma anche oneri che ne derivano.
Nel disegno del futuro, per altro verso, va inclusa la necessità (urgente) di modificare alcuni comportamenti incompatibili con l’idea di ottimismo. Al pari di ministri e parlamentari che non svolgono il loro mandato con onestà ed impegno rivolto al bene comune, non possono trasmettere ottimismo ai nostri giovani – ad esempio – i giornalisti (parto non a caso dalla mia categoria, naturalmente me compreso) che immaginano di conquistare il Pulitzer accumulando fake news, che servono padroni diversi dai lettori, che scrivono sotto dettatura dell’ideologia politica o del pregiudizio e non dei fatti. L’inquinamento dell’informazione induce e alimenta il pessimismo, non fa distinguere il Bene dal Male, anzi tutto si trasforma in Male.
Al pari di certi detentori del potere politico e istituzionale – che decidono chi viene assunto nella Pubblica Amministrazione in base a criteri diversi dal merito – non possono trasmettere ottimismo ai nostri ragazzi gli eventuali esecutori di quegli “ordini” politici e istituzionali: sono burocrati in carriera, professionisti di diverso ordine e grado, luogotenenti del malaffare una volta nullatenenti. Né possono essere di buon esempio i sindacalisti che siedono al tavolo delle spartizioni dei posti, sia nel pubblico che nel privato. Né, tanto meno, quegli imprenditori senza scrupoli che succhiano il midollo dei dipendenti, fanno firmare buste paga gonfiate rispetto all’effettivo reso, piangono miseria, pagano tasse da pezzenti, e intanto fanno vita da nababbi.
Allo stesso modo, e al pari di qualche rappresentante istituzionale che si vaccina contro il Covid saltando la lista d’attesa, non possono trasmettere ottimismo ai giovani quei medici – invero non pochi – che durante l’imperversare della pandemia se ne sono stati chiusi blindati nelle loro case e nei loro studi professionali, hanno visitato e curato i propri pazienti via telefono per paura del Covid, e ora pretendono di stare in prima fila per il vaccino, esattamente come i tanti medici e infermieri che da dieci mesi si son fatti un culo così combattendo con il contagio nella trincea degli ospedali.
“Noi adulti abbiamo il dovere di caricarci di ottimismo e di trasmetterlo ai nostri giovani, che sono tutti scoraggiati. Se non lo facessimo saremmo dei vili. I nostri giovani hanno bisogno di noi”.
E allora, cari adulti, che si fa? Tra quei giovani ci sono anche i nostri figli. Mettiamo pure da parte la viltà. La domanda essenziale, niente affatto retorica, possiamo e dobbiamo porcela parafrasando il Grande Totò: “Noi, vogliamo fare gli uomini o restare caporali?”.
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