Caso Sidigas, tutte le verità di De Cesare e una domanda: “Cui prodest?”

Nelle 93 pagine del ricorso del legale di De Cesare, l'avvocato Fimmanò, emerge un'altra verità sull'intera vicenda Sidigas. Toccherà ai giudici del Tribunale delle Imprese di Napoli fare definitiva chiarezza, anche in merito alla cessione dell'Us Avellino. Il 12 gennaio l'udienza per la società di calcio, il 10 febbraio tocca alla Sidigas. E dalla procura di Roma è stata aperta anche un'inchiesta penale

Cui prodest? A chi giova? E’ la domanda, attorno a cui ruotano tutte le 93 pagine del ricorso di De Cesare e si può dire l’intera vicenda Sidigas, che si pone l’avvocato Fimmanò e che riporta a sua volta al Tribunale delle Imprese di Napoli.
Il 10 febbraio si aprirà il procedimento nei confronti dell’operato di Dario Scalella, amministratore delegato della Sidigas, e di Francesco Baldassarre, custode giudiziario della società nominato dalla procura a seguito del sequestro dei 97 milioni di euro; gravi irregolarità di gestione l’accusa che pende nei loro confronti e che ricade anche sull’intero CdA.
Molteplici gli interrogativi posti dal legale di De Cesare: “Può un amministratore giudiziario (ovvero Baldassare) nominare a sua volta un amministratore (Scalella nel caso) al fine di procedere, come si sta facendo, alla liquidazione dell’intero patrimonio sociale e alla proposizione di una ristrutturazione del debito senza il coinvolgimento dell’imprenditore che ha subito il sequestro (cioè De Cesare)?

Può l’amministratore giudiziario decidere di estromettere totalmente l’imprenditore destinatario del sequestro da scelte vitali per l’azienda che diverrebbero irreversibili anche qualora il sequestro non dovesse tramutarsi in confisca?

Può assegnarsi al presidente nominato un compenso di oltre un milione di euro l’anno e prevedere costi per i consulenti coinvolti nel piano di risanamento per ben oltre 4 milioni di euro, il tutto in palese danno dei creditori?

E infine, la domanda principale: può un amministratore giudiziario ignorare l’importanza della continuità aziendale e proporre tout court l’integrale cessione di un complesso aziendale, ignorando del tutto la capacità di generare, per il tramite della propria gestione corrente (l’avvocato ricorda come l’ultimo bilancio Sidigas, redatto dagli stessi Scalella e Baldassarre, mostri una società in grado di chiudere con utili per 5 milioni di euro e dunque in discreta salute finanziaria), risorse sufficienti a sostenere pagamenti rateali della debitoria pregressa, rendendo possibile dunque la salvaguardia dei valori aziendali senza necessità di attività di smembramento? E dunque – conclude il ragionamento Fimmanò – cui prodest tali modalità operative? Cui prodest una tale attività di liquidazione totale?”.

Domande a cui il tribunale dovrà dare risposta: se il giudice Adriano Del Bene, chiamato a dirimere la vicenda dopo aver trovato il ricorso di De Cesare meritevole di un approfondimento (quando invece il tribunale di Avellino ha lasciato cadere nel vuoto la denuncia), accogliesse il ragionamento della difesa dell’ex patron partenopeo, Scalella, Baldassarre e il nuovo cda di Sidigas rischierebbero la revoca dai loro incarichi e l’obbligo di ripristino delle attività portate avanti durante il loro mandato, con il conseguente annullamento delle cessioni di Sidigas.com e Us Avellino.

L’OMBRA LUNGA DI ACEA. E’ nella ricostruzione degli eventi che Fimmanò prova a suggerire la risposta, partendo dalle origini dell’intera vicenda Sidigas che nasce dalla pressione di Acea nel voler subentrare alla società di De Cesare nella gestione e distribuzione del gas in provincia di Avellino.

L’interesse ad arrivare in Irpinia, scrive Fimmanò, si manifesta già dall’estate del 2018, stagione in cui Acea “aveva mostrato forti interessi all’acquisto del ciclo idrico tramite la controllata Gesesa spa”, attraverso la celebre aggregazione con Alto Calore; operazione non andata in porto, ma Acea non demorde e anzi sposta il tiro sul business principale, dichiarando a De Cesare la volontà di acquistare l’intera Sidigas spa.
Di questo si discusse durante un incontro svoltosi il 16 aprile 2019 presso l’hotel Terminus di Napoli alla presenza di De Cesare, del dottore Giovanni Papaleo amministratore delegato – direttore area industriale idrica Acea, del dottor Giuseppe Del Villano, direttore affari e servizi Acea, del dottor Antonio De Luise, responsabile tesoreria Acea, del professor Bruno Meoli, consulente Acea, del dottor Marino Giordano quale intermediario e infine del dottore Sergio Barile, sempre in qualità di consulente Acea. I rappresentanti del colosso romano fecero intuire di essere a conoscenza delle problematiche finanziarie della Sidigas, nonostante l’inchiesta non fosse ancora venuta alla luce pubblicamente, offrendosi di “salvare” il gruppo partenopeo; De Cesare, perplesso in merito alla proposta e ai toni con cui venne formulata, declinò senza pensarci troppo.
Due mesi dopo, a giugno inoltrato, arriva l’istanza di fallimento proposta dalla procura di Avellino, causata dall’esposizione debitoria con erario e fornitori che De Cesare conosceva e che era in corso, almeno in sua buona parte, di regolare rateizzazione (sostiene la difesa), ma che comportò il sequestro di 97 milioni di euro di beni, conti e azioni del gruppo.

IL TENTATIVO DI LIQUIDARE L’INTERA SIDIGAS. Inutile ricordare ancora una volta i vari passaggi amministrativi e giudiziari che ne conseguirono; ma Fimmanò ritorna sul momento in cui De Cesare, su richiesta di Baldassarre, si dimise dal ruolo di amministratore per lasciare posto a Scalella: subito dopo infatti Acea ritorna alla carica e nell’agosto 2019 presenta ancora la proposta di acquisto dell’intero pacchetto Sidigas spa. Nel frattempo anche 2I Retegas e Italgas si fanno avanti e il 13 dicembre 2019, dopo che era già stata definita la vendita dell’Us Avellino, Scalella e Baldassarre avviano una manifestazione d’interesse, dal valore di 102 milioni di euro, mettendo a gara l’intero gruppo di De Cesare e invitando a partecipare i tre colossi prima menzionati.
Qualche settimana prima Baldassarre aveva però richiesto e ottenuto il ritiro dell’istanza di fallimento dal procuratore D’Onofrio, in quanto “plurime iniziative di accordi di ristrutturazione uniti da un medesimo piano avrebbero garantito una maggiore e più diffusa soddisfazione degli interessi dei creditori”, spiega lo stesso amministratore giudiziario alla procura, rinunciando al concordato preventivo presentato durante il luglio 2019. E il procuratore D’Onofrio fornisce il suo via libera ritirando l’istanza di fallimento.
“Perchè allora”, si chiede Fimmanò, “si provvede comunque nel tentativo di liquidare l’intero patrimonio di un’azienda, per di più in pendenza di sequestro, quando la vendita del solo ramo di distribuzione e/o comunque l’impiego del cashflow (la liquidità corrente) potrebbero permettere ampiamente, come noto ai nuovi amministratori, di risanare le difficoltà e le sofferenze aziendali?”
Con improvvisa fretta invece, sottolinea l’avvocato, e dietro la consulenza del dottor Pierluigi Vazquez (“che da esterno – commenta Fimmanò – si comporta invece come amministratore di fatto della società”), Scalella e Baldassarre decidono di liquidare integralmente il patrimonio Sidigas, mettendo in vendita l’intero blocco delle attività del gruppo, tra l’altro senza preventiva valutazione e senza la necessaria deliberazione dell’assemblea straordinaria dei soci.
102 milioni di euro, come detto, l’importo fissato a base di gara, che però può interessare, delle tre multinazionali invitate, solo Acea: in gioco non c’è infatti solo l’asset relativo alla distribuzione di gas, ma anche le attività inerenti la vendita ai clienti finali. Ma 2I e Italgas si occupano solo di distribuzione, non avrebbe senso per loro presentare un’offerta per rilevare l’intero pacchetto. Acea dunque sembra a un passo dal garantirsi l’obiettivo che stava inseguendo da parecchi mesi ma stranamente, nonostante un prezzo sottostimato rispetto i beni in vendita, non presenta alcuna offerta e la cessione non si concretizza; sulla retromarcia paiono incidere un’inchiesta giudiziaria che interessa proprio in quei giorni Pasquale D’Aniello, vicesindaco di Piano di Sorrento nonchè factotum di Acea in Campania, e una serie di interrogazioni parlamentari del senatore leghista Claudio Barbaro proprio in merito alla vicenda Sidigas che accendono i riflettori anche a Roma.
Nonostante la cessione non si concretizzi, il semplice tentativo induce l’avvocato Fimmanò a porre l’ennesima osservazione: “Davvero non si comprende – l’arringa del legale di De Cesare – per quale motivo i nuovi amministratori debbano ossessivamente perseguire la vendita di tutti i cespiti aziendali, minando in nuce la corretta salvaguardia e continuità aziendale che proprio Scalella e Baldassarre dovrebbero garantire nel rispetto di quanto prevede la legge riguardo il loro ruolo di custodi giudiziari (“che avrebbero dunque il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell’intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività degli stessi: non certo di liquidarli”).

L’US AVELLINO. Andò a buon fine invece, proprio nello stesso periodo, la vendita dell’Us Avellino alla cordata composta dagli imprenditori Izzo, Di Matteo e Circelli, denominata IDC srl. Ma le perplessità in merito all’operazione da parte dell’avvocato Fimmanò, ergo di De Cesare, restano le stesse.
Diverse le contestazioni, che tra l’altro sono state incardinate in differenti procedimenti giudiziari: il primo andrà in scena il prossimo 12 gennaio, il caso è sempre curato dal Tribunale delle Imprese di Napoli. Stavolta il giudice chiamato a dirimere il contenzioso, che potrebbe provocare addirittura l’annullamento della vendita della società sportiva, è il magistrato Viviana Criscuolo. Nel ricorso di De Cesare viene contestata la legittimità dell’assemblea dei soci del 28 novembre 2019, che diede il via libera alla cessione dell’Us Avellino, nonostante non fosse stato ancora disposto il dissequestro della società di calcio, avvenuto il giorno seguente, e senza che alla riunione siano stati chiamati a partecipare i creditori pignoratizi della Sidigas. Secondo Fimmanò questi vizi di forma bastano e avanzano per decretare l’invalidità di quell’assemblea e dunque rendere nulla la cessione dell’Avellino calcio alla IDC.
Ma sono altre le questioni che alimentano i dubbi di De Cesare. A partire dalla presunta bontà di un’operazione che “per come è stata strutturata e per i risultati che ha portato, si può definire assolutamente antieconomica”, scrive Fimmanò, ” giustificata, a detta dei venditori, per eliminare dal gruppo un asset considerato negativo, ritenendo che prevedesse solo esborsi di denaro e nessun introito, ma che ha finito, per come è stata portata avanti, con l’ arrecare un danno patrimoniale alla stessa società e potenzialmente ai suoi creditori, e che non può essere giustificata dalla frettolosità e dalla superficialità con cui la vendita è stata effettuata”.

La cessione prima di tutto risulta carente del nulla osta dell’allora Cda della Sidigas (“rendendo viziati tutti gli atti conseguenti”), e in più viene effettuata a favore di un gruppo che risulta in breve tempo poco solido economicamente, non in grado nemmeno di saldare le rate calcolate per l’acquisto, e non rispondente ai requisiti minimi richiesti dalla FIGC (Izzo venne condannato dal tribunale federale nazionale per aver prodotto documentazione definita ‘palesemente contraffatta’).

“Difficile”, si interroga Fimmanò, “capire come Scalella e Baldassarre abbiano valutato la solidità economico finanziaria, laddove la somma lorda dei redditi dichiarati al fisco dai signori Izzo Luigi e Circelli Nicola nell’ultimo anno d’imposta è complessivamente pari a 35mila euro. La scelta di tali soggetti ha creato un danno economico agli azionisti e ai creditori in quanto l’importo totale dell’operazione, oltre a rivelarsi incongruo, ha anche depauperato il patrimonio della debitrice”.

In più,la cessione dell’asset sportivo, per una serie di circostanze, ha finito con il favorire il principale concorrente della Sidigas in provincia, la SiEnergia del Gruppo D’Agostino, che con altra società ha acquisito le quote della IDC SRL, così potenzialmente sottraendo clienti alla debitrice, attraverso campagne pubblicitarie atte alla fidelizzazione dei clienti, rivolgendosi soprattutto ai numerosi tifosi della squadra calcistica, tanto da regalare la maglia ufficiale da gioco dell’Us Avellino a chi avrebbe sottoscritto un contratto con la SiEnergia”.
Infine, Fimmanò, a proposito della famosa clausola di ‘recompra’, chiarisce che non è stata rispettata la volontà espressamente prevista nella originale manifestazione d’interesse, che prevedeva un’opzione di riacquisto di tutte le quote vendute al prezzo di due milioni di euro, esercitabile non prima dei dodici mesi e non oltre i quindici mesi dal closing. Ma nell’atto notarile che sancisce la cessione la pattuizione prevista sparisce e viene inserita in una scrittura a latere da Scalella e Baldassarre, che stravolge le intenzioni iniziali: il prezzo della recompra sale a 2,2 milioni e può aumentare fino a 3,3 milioni o scendere fino a 1,1 milione a seconda della partecipazione della squadra in categoria superiore o inferiore alla Lega Pro; inoltre la possibilità di esercitare l’opzione è valida tra il 1 ottobre e il 30 ottobre 2020 (come aveva dichiarato alla stampa in maniera corretta il neo patron dell’Avellino calcio Angelo Antonio D’Agostino: dunque la possibilità di recompra è definitivamente tramontata per la Sidigas).
Molteplici dunque i vizi di forma e sostanza presenti nella cessione, che si rivela anzitutto antieconomica e non autorizzata. “Cui prodest?” torna a chiedersi ancora una volta Fimmanò e ritorniamo all’inizio del ragionamento del ricorso di De Cesare, che punta anche a decretare la nullità della vendita dell’Avellino calcio.

LA CONCLUSIONE (?). In poche parole, dalle 93 pagine del ricorso, emerge, dopo un silenzio durato a lungo, la posizione di De Cesare in merito al caso Sidigas. Che non è detto che coincida con la verità dei fatti e che non sottrae affatto l’imprenditore partenopeo dalle sue responsabilità (De Cesare è a processo per evasione fiscale e autoriciclaggio), ma ci consente di avere un’altra visuale dell’intera vicenda da aggiungere, e non per forza da opporre, a quella raccontata fino ad oggi dalle carte dell’inchiesta e dai successivi passi compiuti e conseguenti dichiarazioni di Dario Scalella. L’attuale amministratore delegato di Sidigas in merito alle contestazioni di De Cesare, lo ricordiamo, ha sostenuto di non “aver mai visto tante bugie messe assieme e di essere pronto a chiarire tutto in tribunale”.

Toccherà ai magistrati di Napoli fare definitiva chiarezza, ma non solo a loro: della vicenda è stata interessata, da un punto di vista penale, anche la procura di Roma.
Il caso Sidigas, che come abbiamo visto tocca notevoli centri di potere ed interesse della provincia irpina, è insomma ben lontano dalla parola fine e fino a quando non verrà scritta appare destinato a riservare ancora parecchie sorprese.

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