“Vi racconto Natale a Milano in tempo di Covid”
A Milano, come in tutta Italia, la notte inizia prima da quando c’è il coprifuoco. Nello spazio limitato delle nostre mura domestiche, che ci attendono entro e non oltre le 22, siamo diventati tutti delle “Cenerentole”. Ma le nostre vite attualmente non sono una favola. Da nove mesi i lockdown e il coprifuoco ci proteggono dal virus e dalla pandemia, ma non dalle tragiche conseguenze di questa “protezione forzata” che ci sta trasformando profondamente. La sera chiudiamo porte e portoni, ma non per tirare il classico sospiro di sollievo e per lasciarci lo stress alle spalle, bensì per continuare a conviverci.
A Milano il tempo sospeso e dilatato della pandemia è più pesante che altrove. Il virus ci ha attaccato nel nostro DNA, nella nostra storica attitudine al fare, a produrre instancabilmente per essere sempre esempio trainante di civiltà dell’economia. Qui, nella metropoli dei miracoli, le vite sono in modalità “pausa” forse più che altrove e, dopo l’illusione di ripresa del periodo estivo, l’autunno ci ha riportato a fare i conti in rosso con le privazioni e con l’interruzione delle attività generate dal transito di milioni di turisti e di gente che faceva affari e che oggi non li fa più.
Per una città come Milano la privazione della libertà e delle opportunità da essa generata sono state fatali. Per settimane abbiamo assistito a scene surreali di prestigiosi locali storici con le saracinesche abbassate o a mezz’asta. Abbiamo visto decine di esercenti che con garbo, coraggio e dignità, stavano in piedi sul gradino del loro locale per invitare i passanti mascherati a consumare un caffè in piedi, distanziati, all’aperto con tavoli di appoggio improvvisati. Ma i passanti, oltre che mascherati, sono sempre meno eccitati all’idea di consumare cibi o bevande in contenitori di carta, in piedi, di fretta, in un contesto di desolazione inquietante. Nonostante Milano sia abituata alle cose “al volo” e sia da sempre la regina della fretta perché “uè, il tempo è denaro”, la fretta unita alla desolazione sembrano una combinazione poco interessante.
In particolare in questi mesi di seconda ondata a Milano si è generato un nuovo “sentiment” che è quello della lentezza. Una lentezza inedita, riflessiva, incredula, che si domanda il perché di tutto questo e che traspare ovunque: tra cittadini di ogni età, di ogni origine e di ogni ceto sociale e tra tutti coloro che fanno parte del meccanismo milanese/ internazionale incantatosi praticamente sul più bello.
Tuttavia, anche se gli occhi dei milanesi (e per milanesi intendo tutti, anche coloro che non sono nati qui) hanno espresso ed esprimono ancora paura, sgomento, disagio, i loro sguardi non hanno mai espresso rassegnazione. La seconda ondata del covid-19 ha dato il colpo di grazia a tanti sentimenti positivi, ma Milano ha deciso di continuare a lottare e non ha accettato la sconfitta. A partire dai primi di dicembre, in concomitanza con l’allentamento delle restrizioni e con l’annuncio delle imminenti Feste natalizie, Milano ha optato per “l’ottimismo della volontà” che deve prevalere sulla rassegnazione e sul pessimismo.
Il 7 dicembre la città ha festeggiato un S. Ambrogio “mutilato”, ma ha festeggiato. Per la prima volta dopo il secondo dopoguerra, Milano si è adattata ad una Prima della Scala (uno degli eventi culturali più attesi al mondo) privata della presenza degli illustri ospiti che con i loro riti animano da sempre la città in questa giornata dedicata al Santo Patrono. A dispetto anche di una giornata particolarmente uggiosa, nel giorno di S. Ambrogio, Milano ha dato un segnale molto importante: voglia di vivere, voglia di aprire, voglia di accogliere. Il centro della città, e non solo, si è messo in tiro e si è vestito a festa. Strade e piazze hanno ripreso a pulsare di giovani, meno giovani e famiglie che con decisione si sono lanciati verso mete attese da settimane: i negozi. Un tripudio di mascherine colorate e sgargianti con paillettes, qualche cagnolino scambiato per neonato in braccio a papà e mamme, signore e signorine che non hanno perso la voglia di sfoggiare look tra i più “cool”, degni del quadrilatero milanese. Finalmente si sono rialzate le saracinesche delle pasticcerie storiche che sono state addobbate con la consueta eleganza meneghina. Hanno riaperto in pompa magna profumerie, boutique, negozi di arredamento e di design e gioiellerie di brand internazionali che evocano vite da sogno in luoghi esclusivi, in case lussuose, in resort raffinati. Nel rispetto del distanziamento, decine di persone hanno immortalato il bello con i loro ultimi modelli di smartphone. In Galleria Vittorio Emanuele II l’allestimento di un sontuoso albero di Natale — sponsorizzato da un noto brand del lusso — ha lasciato a bocca aperta (evviva, per qualche secondo si respira pure meglio!).
Nonostante tutto, nonostante il coprifuoco abbia allungato la notte, Milano è rimasta sveglia per intercettare i sogni, più o meno interrotti, di tutti noi. Lo possiamo definire “Miracolo a Milano”, il miracolo del nonostante tutto, il miracolo dell’intraprendenza, delle idee, delle sinergie. Un miracolo italiano perché Milano è fatta di italiani e non solo di milanesi. E poi c’è un altro miracolo, qualcosa di sorprendente e di inedito che sta accadendo in questa città: il tempo dedicato, la cordialità, l’attenzione e la dedizione riservata da parte di coloro che hanno a che fare con il pubblico nei diversi settori. Dagli ospedali, ovviamente, agli uffici pubblici, ai negozi, ai locali. Ovunque, tra i cittadini stessi, si notano più calore umano, più gentilezza, nonostante si stia distanti e protetti da mille precauzioni. Il tempo sospeso del Covid-19 ha fatto anche questo miracolo nella metropoli che non ha mai avuto, forse non la voglia, ma il tempo da dedicare a tutto ciò.
A questo proposito, il 5 dicembre 2020, in Piazza San Babila a Milano, dopo mesi e mesi, si sono rialzate le saracinesche di 4 storiche vetrine di uno dei più prestigiosi edifici del quadrilatero milanese. Grande sorpresa. Dalla sera alla mattina, tra cascate di luci e alberi di Natale, è stato inaugurato un nuovo spazio dedicato a cose buone, dolci, irresistibili, proprio nel cuore della città. Galbusera, la storica azienda di prodotti dolciari nota al grande pubblico, ha aperto un vero angolo di paradiso, un inno all’ottimismo, una sferzata di vitalità che invita i milanesi e tutti coloro che torneranno nei prossimi giorni (in occasione del passaggio della Lombardia a zona gialla) ad assaporare prodotti buonissimi e a condividere riti irrinunciabili che fanno parte della nostra cultura nazionale, oltre che di quella meneghina. Si tratta di “Galbusera-Tre Marie San Babila Christmas Store”. Non ho potuto resistere, sono entrata e sono stata immediatamente accolta da un giovane commesso cordiale, preparato e molto appassionato, il quale mi ha condotto in un piccolo viaggio tra i tanti panettoni e pandori della tradizione Tre Marie, tra i loro tanti gusti e formati, tra una serie di ghiottonerie e specialità da far saltare ogni piano di buoni propositi in termini di calorie. Ma Natale è anche questo! La sorpresa nella sorpresa è stata quando ho scoperto che quel ragazzo sorridente, gentile, premuroso e visibilmente motivato a fare il suo lavoro, dopo mesi difficili, mi ha confidato di essere di origini irpine. Orgoglio e compiacimento da parte mia, sia per il fatto che anche io sono di origini irpine, sia per aver avuto la prova del fatto che le nuove generazioni confermano la tradizione milanese della contaminazione tra nord e sud, quella più costruttiva, quella che va oltre ostacoli, pregiudizi, guerre e pandemia.
In definitiva, sono orgogliosa di Milano e del suo DNA che poi è quello di tutto il Paese. Nell’attesa che arrivi il vaccino, godiamoci i nostri anticorpi di fiducia, ottimismo, impegno e civiltà. Forse non esiste vaccino più efficace di quello che possiamo iniettarci noi stessi, proveniente da noi stessi, se ci crediamo e se rimaniamo tutti insieme, tutti uniti.
Buon Natale.
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