Il Covid e Natale in casa Cupiello

“Natale in casa Cupiello”, Atto primo.

Concetta: “Ccà sta ‘a colla. Io nun capisco c’ ‘o faie a ffà ‘stu presebbio… Na casa nguaiata, denare ca se ne spénneno e almeno venesse buono…”.

Nennillo (Tommasino): “Overo… venesse buono almeno…”.

Luca: “Pecchè? Chi ha ditto ca nun vene buono?… ’O ssape isso!…Nun te piace? Nun ti piace’o presebbio?”.

Nennillo: “Nun me piace”.

Luca: “Ma come, il presepio piace a tutti… A chi è che non piace il presepio? C’è cosa più bella…

Nennillo: “Non mi piace…”.

Luca: “Ma se non è finito ancora…ce manca ancora tutte cose… Questo è appena il fusto…Quando ci metto l’erba, i pastori…”.

Nennillo: “Non mi piace. Voglio ‘a zuppa ‘e latte”.

Chissà come avrebbe immaginato il suo “Presebbio” in “casa Italia”, in tempo di Covid, il Grande Eduardo! Resterà un mistero, nessuno potrà mai dircelo.

Sappiamo, invece, come ha pensato per noi il nostro Natale di quest’anno il governo Conte. C’è tutto scritto nel DPCM in vigore da ieri. DPCM. Un acronimo che possiamo metaforicamente adattare al “Natale in casa Cupiello” leggendolo – tra vernacolo napoletano e lingua madre – più o meno così: “Dint’ ‘O Presebbio del Consiglio dei Ministri”. Per poi chiedere a ciascuno di noi: “Tommasì, te piace ‘o presebbio?”.

Non so a voi, ma a me questo presepio “Nun piace!”. Chiarisco subito. Non per le misure restrittive che impone. Anzi, sono sacrosante, a parte qualcosa che dirò più avanti. Se un rilievo critico al riguardo va fatto, piuttosto, è che quelle misure sono state decise con molto ritardo. Si fossero mossi, Conte e Compagni, a mettere nero su bianco un mese fa, senza alcuna distinzione di colore, ma un rosso fuoco ovunque, il Virus non avrebbe avuto tanta libertà di diffondersi, non saremmo stati a contare i 997 morti di giovedì. Oppure – peggio – a dover prendere atto (lo dicono gli esperti con i loro algoritmi, non io) che fino ad oggi abbiamo soltanto il 45 per cento dei decessi attesi, ovvero che la lista dovrà allungarsi del 55 per cento mancante. Significa, per farla breve, che il Covid dovrà fare ancora circa 6Omila vittime: una strage, parte consistente di una generazione impietosamente spazzata via. Facciamo scongiuri. E speriamo che gli esperti si sbaglino: circostanza niente affatto improbabile dopo le non poche cose strampalate e contraddittorie che pure ci hanno raccontato da quando il Covid è comparso.

Ben venga il rigore di Natale, di Capodanno, dell’Epifania e di tutte le feste comandate e non, dunque. Il problema è un altro. Il problema è che il Presepio si è politicizzato troppo. Politicizzato nell’accezione negativa, ossia “strumentalmente” politicizzato: tanto da innescare nuovi conflitti istituzionali con le Regioni (il Dpcm è stato varato senza alcuna consultazione preventiva) e con le forze di opposizione (le quali pure si erano rese disponibili al confronto e alla collaborazione).

Per taluni versi è un Dpcm politicizzato – ancora nell’accezione negativa – a dispetto. Un esempio per tutti: non è stato forse a dispetto del Governatore della Campania che si è voluto mettere di fatto in mano ai prefetti – dunque in mano al governo centrale – la gestione del rientro in classe degli studenti? Un evidente contentino di Conte e del Pd alla ministra 5Stelle dell’Istruzione, che mal aveva sopportato – anche a rischio di migliaia di altri contagi – la decisione di De Luca di prorogare la Didattica a distanza dalla seconda media in su quando in Campania l’infezione dilagava (e tuttora dilaga).

Misure restrittive sacrosante – peraltro invocate con forza proprio da De Luca, mentre a Palazzo Chigi e al ministero della Salute si ostentava ottimismo – ma con qualche gravissima connotazione di controsenso logico che la dice lunga sulla lucidità di pensiero del governo quando deve decidere cose “originali”. Chi ha potuto mai pensare senza esporsi al ridicolo, infatti, che nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno ciascuno è libero di spostarsi – ad esempio – da un capo all’altro di Roma, chilometri e chilometri, circa 2milioni e 800mila abitanti – ed è fatto invece divieto di muoversi da un paesino dell’Irpinia a un altro, percorrenza di pochissimi chilometrini, con una decina di comuni confinanti riesci a mettere insieme sì e no, in media, 30mila abitanti?

Nelle metropoli puoi spensieratamente portare a spasso le chiappe dove ti aggrada, e da un paesino all’altro no: ma in base a quale principio, teorema, ragionamento? Sembra un atto di fede più che un prodotto (non andato a male) del cervello. È come affermare che il contagio non avviene da persona a persona ma attraverso il pensiero: insomma, roba virtuale, oppure – scegliete voi – roba da stregoni e streghette. Comunque, niente di serio.

Eppure ciò è poco, diremmo niente, rispetto al vero problema del “Presebbio” di Conte&C.

Il vero problema è che “Dint’ ‘o Presebbio del Consiglio dei Ministri” – e nei provvedimenti annessi e connessi, anche soltanto enunciati – manca la Politica nel senso alto, nobile, strategico e concreto del termine. Si chiede l’ennesimo sacrificio agli italiani. E ci sta bene: d’altra parte, richiesto o meno, con le belle o cattive maniere – a parte i negazionisti irriducibili e un bel po’ di sindaci e consiglieri regionali e parlamentari e qualche sottosegretario e qualche ministro – l’hanno capito perfino gli idioti che da questa storia usciamo soltanto se ci armiamo di comportamenti responsabili e tantissima, santa pazienza.

Ok e mille inchini, dunque, al governo che ci chiede sacrifici e collaborazione. Ma la “strategia” dov’è? E dov’è l’indicazione dell’orizzonte, non solo per l’emergenza sanitaria ma anche per quella economica e quella sociale? Prendete i vaccini anti-Covid. Un mese fa il ministro Di Maio – ancora non si comprende a quale titolo, dovendo intendersi d’Esteri (forse) – annunciò che a dicembre avrebbero cominciato a vaccinarci. Ieri l’altro il ministro Speranza – che è il titolare della Salute – ha detto che se ne parla (forse) a fine gennaio.

Va assai peggio – quanto ad orizzonti e strategie – sul fronte delle altre due emergenze. Molte parole messe insieme a caso, annunci che lasciano il tempo che trovano, nessuna traccia di “visione”. È qui il “deficit politico” che sottende una quotidianità stucchevole, sospesa nell’aria. E che, come in un incubo, ci fa risucchiare dal vuoto.

“No: nun me piace stu presebbio!”.

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