A proposito del nostro terremoto. Lettera di una irpina da Milano
Caro Franco,
il 23 novembre 1980 avevo 13 anni e, come tutte le sere, alle 19.30 la mia famiglia era radunata intorno al tavolo del soggiorno per la consueta cena ad orario settentrionale. A Milano si cena presto e mio padre è irpino. Sembra un ossimoro ma, un po’ per spirito di adattamento, un po’ per formazione, mio padre conserva ancora oggi una vena di rigore nordico che gli ha fatto scegliere abitudini settentrionali come la cena prima del Telegiornale.
La sera del 23 novembre 1980, alle 19.30, tra un piatto di minestra e un immancabile caciocavallo, stavamo ipotizzando la tradizionale vacanza natalizia in Irpinia, ad Ariano, luogo di nascita di papà e nostra seconda casa. In quei luoghi dove “Cristo si era fermato, ma sembrava essere ripartito” mio padre, solo 6 anni prima, con grande orgoglio, aveva terminato la costruzione della casa della sua vita a suon di sacrifici e di rinunce. Orgoglio irpino. La casa si ispirava alle villette lombarde situate ai bordi del Lago di Garda e fu progettata secondo rigidissime regole antisismiche perché si sapeva di trovarsi in un territorio decisamente a rischio di terremoti.
Stavamo immaginando la trasferta arianese, l’albero di Natale vicino al camino e le bistecche alla brace, quando fummo colti da un tremore, decisamente diverso da quello provocato dal solito tram che passava sotto casa. I nostri lampadari di cristallo stile anni ’60 oscillarono, ci furono istanti di silenzio e di sguardi incrociati tra di noi ed io, reduce dal ricordo del precedente terremoto nel Friuli che qui a Milano sentimmo in modo potente, mi spaventai moltissimo. Ancora oggi, se per caso tocco quel lampadario vintage che conservo gelosamente in una delle stanze del mio appartamento, il movimento e il tintinnio dei cristalli mi turbano, mi provocano un vuoto allo stomaco e sento istintivamente il desiderio di scappare.
Quel minuto e mezzo del 23 novembre 1980 fu infinito. E se lo fu per noi, a Milano, figuriamoci per voi, laggiù. Mio padre ad un certo punto ebbe il coraggio di parlare e disse: “Trema, trema. È il terremoto!”. Il suo istinto di sopravvivenza e di protezione nei nostri confronti si manifestò praticamente in una crisi di panico bella e buona. Probabilmente tutto ciò fu dovuto al fatto che egli nacque nel 1930 in Irpinia, sotto il segno del terremoto, durante uno dei sismi più devastanti. Anche nel 1930 l’Irpinia crollò su sé stessa. Chissà, magari inconsciamente, ebbe il ricordo di quando era in fasce e, anziché aiutarci a superare la paura, fu assalito dalla stessa.
Pochi mesi prima, nell’agosto 1980, mio padre ebbe un presentimento e ce ne parlò. Ci disse che gli animali, che lui conosceva bene, si comportavano in modo strano. Non solo: una sera di fine agosto, mentre leggevo un libro sul letto della mia camera nella casa di Ariano, il pavimento si gonfiò ed alcune piastrelle si staccarono. Fenomeno piuttosto inquietante. Mio padre disse: “non sarà mica l’annuncio di un imminente terremoto.”. Ovviamente, facemmo i dovuti scongiuri.
Il 23 novembre 1980 quel terremoto arrivò. La natura parla anche attraverso il linguaggio degli animali di campagna, evidentemente.
Mentre anche Milano tremava per l’effetto di un potente terremoto distante oltre 800 chilometri, l’Irpinia, ancora una volta, crollava su sé stessa. Mentre cercavamo di calmarci perché anche una lieve scossa fa una orrenda impressione, migliaia di irpini stavano morendo sotto le macerie. Mentre mia madre e mio padre dissero: “a Milano c’è tanta acqua, non vi preoccupate, le case non crollano”, migliaia di irpini iniziavano a scavare con le loro mani per cercare i loro cari rimasti intrappolati sotto le macerie. Ma noi non lo sapevamo ancora e quindi la domanda sorse spontanea: “Dov’è l’epicentro del terremoto?”. Mio padre corse ad accendere la tv. Nel 1980 non c’erano i canali “all news” e tantomeno i tg 24 ore su 24, ma la RAI si stava preparando per il telegiornale, edizione delle ore 20. Passarono quindi pochi minuti e la notizia fu annunciata:
” Violenta scossa di terremoto in Irpinia”.
Papà sgranò gli occhi, ebbe un sussulto che superò quello per la lieve scossa appena passata e si precipitò nel corridoio dove si trovava il telefono modello anni ’60. Si attaccò alla rotella fino a consumarsi il dito, ma non riuscì a parlare né con parenti né con amici. Le linee telefoniche erano saltate. I suoi familiari più stretti, compresa sua madre, risiedevano a Milano. Ma le famiglie meridionali sono sempre numerose e sparse nel territorio e giù c’erano tantissimi parenti altrettanto stretti. Nel frattempo, papà non smetteva di recitare il mantra “la casa, la casa, la mia casa, è crollata la mia casa!”. Mia madre, con il suo sangue freddo bresciano, cercava di calmarlo, ma non fu facile. Oltre alla casa, il pensiero dei suoi cari ad Ariano lo distruggeva. Finalmente giunse la notizia che tutti stavano bene, che Ariano non era rasa al suolo, anche se era distrutta. Purtroppo arrivavano notizie di tanti corpi irpini sotto le macerie nei paesi più colpiti. Oltre alle case, ad Ariano era crollato lo storico campanile di Piazza Plebiscito.
E la nostra casa? La nostra casa era salva, era “con i piedi per terra”, nonostante un testimone ci disse che durante la scossa la vide ondeggiare come se fosse una nave in balìa di un oceano impazzito. Fu una egoistica, forte consolazione, quella di non aver perso nessuno dei nostri cari e tantomeno la nostra casa. Mentre l’Irpinia si era trasformata in un cimitero a cielo aperto.
In quei momenti si pensa a noi stessi per istinto. Tuttavia, non ci fu possibile sottovalutare il dramma, il dolore e la disperazione dei nostri compaesani irpini. Quella sera, il 23 novembre 1980, la nostra famiglia si ritirò in un profondo lutto, nonostante non avesse perso praticamente nulla e nessuno.
Caro Franco,
Mio padre fa parte di quegli irpini che lasciarono la loro terra sulla quale terremoti ed altre disgrazie, più o meno naturali, si sono abbattute. Gli irpini hanno sognato tanto, hanno viaggiato tanto e hanno realizzato tanto fuori dalla loro terra. Coloro che sono rimasti hanno altrettanto lottato, superato, costruito e sopportato. Gli irpini rimasti e sopravvissuti a quel terribile terremoto sopportano ancora oggi i tanti fardelli di questioni storiche, sociali, economiche e politiche irrisolte.
L’Irpinia è stata messa ad una prova estenuante da quel terremoto. Si pensa che le sfide della natura servano all’uomo per capire, per migliorare e per convivere con essa in armonia. Il terremoto fa parte della natura meno armonica ma forse, come tanti altri fenomeni violenti, ci provoca per capire se siamo all’altezza e se siamo in grado di convivere con l’universo. La nostra “casa bunker” (così definita ironicamente da chi non credeva nel suo progetto), modestamente, è stata all’altezza. Così come lo sono stati altri edifici costruiti intelligentemente o messi in sicurezza negli anni con certi criteri che rispettano la natura di quel territorio. Senza polemica, ma con il cuore, forse tanti irpini avrebbero potuto salvarsi.
Oggi, 23 novembre 2020, a 40 anni dalla tragedia che ha lasciato una crepa nel mio cuore, il mio pensiero va agli irpini che sono rimasti sotterrati dalle macerie senza via di scampo. Il mio cuore pulsa anche per i loro cari che hanno vissuto lo strazio e che hanno affrontato l’inguaribile dolore rimasto al posto delle persone perdute.
Caro Franco,
in questa “Giornata della Memoria”, dopo aver visto e ascoltato le testimonianze dei tuoi illustri ospiti intervistati in Irpinia, il mio cuore ti parla e ti dice:
“Quanto vorrei che la nostra “casa bunker” e tutte le altre case sopravvissute e rimaste in piedi dopo quell’orribile scossa di terremoto avessero potuto ospitare in quei minuti tutti coloro che si trovavano altrove. Un’arca di Noè ondeggiante ma “con i piedi per terra”, tante arche di Noè con i piedi per terra e con radici profonde. Questo avrebbero meritato gli irpini che, come tanti altri connazionali, hanno partecipato alla costruzione dell’Italia.
Speriamo che l’Irpinia se la cavi, d’ora in avanti, senza bisogno di arche di Noè e grazie alle sue radici. Speriamo che certe lezioni possano servire, lasciare segni ed eredità, anche a scoppio ritardato. Speriamo che la dignità irpina possa manifestarsi attraverso la responsabilità di coloro che la abitano, di coloro che la amministrano, di coloro che la amano, come te, come tutti voi di Irpinia Tv e come me.
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