Aste giudiziarie, tra “pasticcini e dolcetti” ai dipendenti del tribunale e false perizie

Il sistema delle aste pilotate messo su dalle famiglie Forte e Aprile con il sostegno in seguito dei fratelli Galdieri, come ricostruiscono i procuratori antimafia della Dda. Dalle intercettazioni nuovi episodi che testimoniano, secondo gli inquirenti, la connivenza dei dipendenti di palazzo di giustizia

“Sono certo che Livia Forte e Armando Aprile abbiano delle talpe nella cancelleria del tribunale e sicuramente tra i custodi che sono parte in causa, per anni abbiamo assistito a scene indecenti, nel senso che i due spadroneggiano nei corridoi del tribunale portando guantiere di paste e di dolci nelle cancellerie del tribunale civile, l’ho visto tante volte con i miei occhi”. Le parole sono quelle di una delle vittime del sistema delle aste pitolate, una delle tante voci che tratteggiano l’organizzazione messa in piedi dalle famiglie Forte e Aprile in un primo momento, poi con la collaborazione degli affiliati al Nuovo clan Partenio successivamente, secondo la ricostruzione dei procuratori antimafia.

Il tutto, dicono senza mezzi termini le vittime, con la connivenza dei dipendenti di palazzo di giustizia. “L’Aprile tratta con estrema familiarità il personale della cancelleria”, sostiene un’altra vittima, e questa volta si tratta di un poliziotto, che assieme a sua moglie, anche lei ispettrice di polizia, rivela informazioni inquietanti, visto soprattutto che a pronunciarle è un rappresentante delle forze dell’ordine. “E’ un fatto notorio che i Tre Tre hanno il monopolio delle aste immobiliari; lo so perchè faccio il poliziotto da tanti anni e posso affermare che con chiunque si parla ad Avellino, dall’idraulico all’elettricista, al collega carabiniere, tutti indistintamente dicono di sapere che i menzionati Tre Tre gestiscono tale attività illecita”.

Come un sistema criminale così alla luce del sole possa essere durato per oltre un decennio è quello che vuole accertare la Dda, che ha i fari puntati su piazza d’Armi. Quel che è certo è che il clan era riuscito ormai a destreggiarsi come voleva: fino ad arrivare al punto da riuscire a falsificare una perizia del tribunale in merito a un immobile, per poter ottenere il mutuo dalla banca: incaricato di realizzare il “pezzotto”, come lo definisce Armando Aprile, è Efrem Spiniello, uno degli indagati a piede libero nell’inchiesta, capace, secondo Aprile, di completare il lavoro in pochi giorni e dunque, secondo la ricostruzione della Dda, abituato a fare questo tipo di operazioni, capace anche di far ottenere finanziamenti a soggetti che non avevano i requisiti.

Emerge in maniera evidente, man mano che si leggono intercettazioni e testimonianze raccolte dagli inquirenti, l’ingresso in società dei fratelli Galdieri dal 2017 in poi: determinante, oltre al primo approccio di Nicola Galdieri, in virtù dell’amicizia con Vittorio Forte, fratello deceduto di Livia, il ruolo di collante che svolge Damiano Genovese, eseguendo il mandato esplorativo di cui lo ha investito Pasquale Galdieri, scrivono testualmente i magistrati antimafia.

E che l’ex consigliere comunale facesse parte, con un ruolo decisamente attivo, del sistema, è un fatto notorio anche ai suoi conoscenti, che lo contattano per chiedergli di mandare deserta un’asta che interessa a una esecutata: assieme all’aiuto di Livia Forte, Genovese porterà a termine la missione. “Stai tranquillo, non viene nessuno”, rassicura Livia Forte al nipote acquisito che gli comunica il numero di procedimento, e poi sarà Genovese a tranquillizzare a sua volta l’esecutata, che riuscirà a garantirsi, per interposta persona, senza spese ulteriori, il rientro in possesso dell’immobile, come riporta il gip del tribunale di Napoli nell’ordinanza

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