Il Covid e il gioco perverso a demolire il “Moscati”

“C’era una lunga fila di ambulanze in attesa. Mia cugina, con sintomi Covid, è rimasta con flebo e catetere in una di esse dalle 10 alle 21. È stato necessario attendere 11 ore per il ricovero: nemmeno un posto letto disponibile, il suo turno è arrivato quando se n’è liberato uno per la morte del paziente che lo occupava”.

La testimonianza è di una irpina che vive a Milano. Le ambulanze non erano quelle costrette ad aspettare un paio d’ore davanti al Pronto Soccorso del Moscati di Avellino o del Frangipane di Ariano, come sta nuovamente accadendo in questi giorni di veloce aumento del contagio. La scena testé raccontata si riferisce alla blasonata Milano, in prossimità dell’entrata Covid d’uno dei più importanti ospedali del capoluogo lombardo.

È la medesima scena che si ripropone ormai quotidianamente un po’ ovunque nelle piccole e grandi città del nostro Paese maggiormente colpite dalla seconda ondata, o medesima onda lunga, del Virus. E si tratta di scene “normali”, visto che nella media nazionale l’offerta di posti letto dedicati è di gran lunga inferiore alla domanda indotta dalla terribile recrudescenza del contagio.

È un calcolo elementare: se il fabbisogno è dieci e tu disponi di 6-7, non avendo potuto creare più posti letto Covid, inevitabilmente si va in emergenza. Le ambulanze sono costrette a sostare per ore negli spiazzi degli ospedali se non si trovano disponibilità altrove. È la drammatica realtà che stiamo vivendo, e dalle nostre parti – sembra un paradosso – ci sta andando perfino bene. “Magari, qui a Milano, stessimo come da voi in provincia di Avellino durante questa emergenza. Siete fortunati”: è ancora la testimonianza dell’irpina “lombarda” di cui sopra.

Cosa dire? Fortunati proprio no. L’Irpinia non è la provincia di Napoli, con i suoi mille problemi storici non solo di natura ospedaliera. Ma non è nemmeno il paradiso della Sanità. Per oltre un decennio abbiamo sofferto commissariamenti devastanti: tra tagli di posti letto e di personale, chiusure o ridimensionamenti di strutture sanitarie, e barbare infiltrazioni politiche nei processi gestionali di Asl e ospedali, appare decisamente un miracolo – magari del Santo cui è intitolato – ritrovarsi oggi con un gioiello come il Moscati.

Evidentemente non abbiamo consapevolezza e coscienza del privilegio di cui godiamo se un po’ tutti, ciascuno nel proprio ruolo, partecipiamo all’opera di demolizione della buona immagine della nostra Città Ospedaliera.

Demoliamo talvolta noi giornalisti, quando spacciamo per cronaca i commenti: quattro-cinque ambulanze in forzata attesa davanti al Pronto Soccorso diventano condanne inappellabili per un disegno criminoso finalizzato alla strage dei pazienti. Nemmeno i mafiosi sarebbero tanto incapaci di pietà cristiana. Senza dire della figuraccia che, al confronto, ci fanno gli osannati ospedali milanesi: due ore di fila delle ambulanze, rispetto a undici, non sono roba da poco.

Demoliscono i sindacalisti, specie quelli di categoria infermieristica, sempre con la verità rivelata nel taschino della giacca quando dimenticano a casa la pochette. Fossero altrettanto severi di giudizio nei confronti di talune strutture private accreditate, probabilmente il Moscati guadagnerebbe la lode-

Demoliscono i politici, interessati alla Città Ospedaliera solo quando ci sono assunzioni da segnalare, e muti come pesci, senza il coraggio d’un afflato sulle necessità oggettive dell’ospedale, evidentemente per timore che De Luca li sgridi.

E demoliscono perfino quei medici, pochi per fortuna, che spesso dimenticano il giuramento di Ippocrate e fanno scivolare nel water etica professionale e profilo umano del mestiere più delicato e importante del mondo.

Stiamo attraversando uno dei periodi più bui della nostra vicenda collettiva, almeno nel contesto delle emergenze sanitarie. Forse una maggiore coscienza dei nostri doveri, oltre alla consapevolezza dei nostri sacrosanti diritti, potrebbe aiutare tutte quelle persone – medici, infermieri, ausiliari, dirigenti: del Moscati e delle altre strutture e aziende sanitarie – che stanno combattendo in trincea per salvare vite e lenire le sofferenze di quanti sono costretti in un letto d’ospedale.

Significa indulgere agli errori, in buona o cattiva fede, eventualmente commessi nella gestione dell’emergenza Covid? Tutt’altro. Ma che siano fatti circostanziati e documentabili la forza dell’accusa e della condanna esemplare per chi ha sbagliato. Non è questo, invece, il tempo delle chiacchiere, men che meno delle ostentazioni demagogiche di chi parla (a vanvera) per convincersi di esistere.

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