Il Covid e quei medici di base un tantino “pigri”
L’editoriale di oggi racconta due fatti realmente accaduti. E sono fatti di Covid, naturalmente. Niente di scandaloso. Piuttosto comportamenti discutibili che possono degenerare nello scandalo se non opportunamente corretti. Come a dire, nella fattispecie, medico (di base) avvisato mezzo salvato.
I fatti, dunque. Alla domanda: “Quando sono accaduti?”, rispondo: “Ne sono venuto a conoscenza ieri, risalgono ad un mese a questa parte. Ma certamente numerosi fatti del genere sono accaduti fin da quando, a febbraio, si è capito (forse) origine e tasso di pericolosità del Virus.
Alla domanda: “Dove sono accaduti?”, rispondo che non rileva il luogo: se si facesse un’indagine a tappeto con la guida di Nostro Signore, troveremmo queste cose un po’ dappertutto, in provincia di Avellino come nell’area metropolitana di Napoli, in Sicilia come in Lombardia. Dunque, appunto, non rileva.
Anche perché – aggiungo subito – l’editoriale di oggi non è una caccia alle streghe, non è un processo alla classe medica, e non è nemmeno un grido di dolore: al punto in cui è giunta l’estensione del Covid, il racconto di ciò che è accaduto e continua ad accadere è importante soltanto per poter correre ai ripari, per chiedere in ginocchio a chi di dovere di non sbagliare ancora, per sollecitare controlli da subito più rigorosi e provvedimenti esemplari nei confronti di chi eventualmente scegliesse di perseverare in condotte che il magistrato potrebbe configurare come delittuose o giù di lì. Sicuramente, sul piano etico, si stratta di condotte che Ippocrate – giusto per stare ai “giuramenti” – disapproverebbe: diciamo pure che si rivolterebbe nella tomba incazzato più che mai.
Avvertenza necessaria, a questo punto: non me ne vogliano i medici di base, ipocondriaco come sono li considero i miei migliori amici. Eppoi, si sa, le mele bacate si trovano in ogni paniere professionale: non vi dico cosa c’è nella mia categoria, forse me compreso, perciò su con la vita e nessuno si offenda.
Il primo racconto è nella telefonata ricevuta ieri, mentre ero in giro con la troupe di Irpinia Tv, per uno Speciale sulla memoria del terremoto di 40 anni fa. Ve la riassumo.
“Mi chiamo…, sono di… Un mese fa avevo un po’ di febbre e dolori lievi alle articolazioni. Preoccupato per quello che c’è in giro, informai il mio medico. Non venne a visitarmi e mi raccomandò di non andare allo studio. Mi disse di prendere la tachipirina da 500 mg ogni 8 ore e di non uscire di casa. La febbre andò via dopo tre, ma i dolori persistevano. In preda alla paura, la settimana successiva richiamai il medico. Non venne a visitarmi. Ancora tachipirina e dopo altri due giorni mi fu fatto il tampone in casa. Tre giorni ancora e arrivò il risultato: positivo. Il mio medico mi disse che dovevo isolarmi in casa per non infettare mia moglie e i miei due figli. Mi trasferii subito in mansarda. Mi fu prescritto ancora tachipirina. Ai dolori lievi alle ossa si aggiunsero dolori alle spalle e di nuovo la febbricola. Poi è cominciata la difficoltà respiratoria, fino a quando il mio medico non ha deciso di farmi ricoverare. In ospedale ho trascorso giornate da incubo, ma mi hanno curato bene. Ora sto molto meglio e sono in attesa del secondo tampone negativo per essere dimesso. Intanto anche mia moglie e i ragazzi sono risultati positivi, per fortuna asintomatici”.
Fin qui la telefonata. Ho chiesto lumi a un infettivologo amico del Cardarelli. “È così che si curano i positivi sintomatici in casa: con la tachipirina?”. Vi risparmio la risposta. Anzi, le imprecazioni.Poi una sottolineatura: “Guarda che c’è un protocollo della Regione inviato a tutte le Asl e da queste ai medici di base: direttive precise su cosa fare e come farlo, compresa l’indicazione dei farmaci da utilizzare, che non sono di certo la tachipirina. Èquesta sciatteria a monte e i ritardi conseguenti che poi determinano l’ospedalizzazione di tanti contagiati. I quali – presi per tempo – potrebbero essere curati a casa evitando di occupare i posti letto Covid che sempre più scarseggiano”.
Il secondo fatto. La “soffiata” mi è arrivata venerdì sera. Anche in questo caso, poco importa dove sia accaduto: la casistica ricomprende l’intera Campania, e non va meglio altrove. Riportoin rapida sintesi la telefonata: “Mia figlia è risultata positiva e presenta solo qualche sintomo. Abita assieme a me e mia moglie e da una settimana è isolata nella sua stanza. Nessuno è venuta a visitarla. Il medico di famiglia dice che non ha le misure protettive adeguate per poter stare a contatto con i pazienti. Ieri ci hanno chiamato dall’Asl. Hanno detto che io e mia moglie dobbiamo andare a fare il tampone a un centro Drive in. È normale? Siamo in isolamento fiduciario e possiamo uscire per fare il tampone? E se siamo positivi e infettiamo altra gente?”.
Ecco, l’editoriale di oggi finisce qui. Qualcuno dirà: “Oggi Franco Genzale ha scoperto l’acqua calda!”. Verissimo. Ma è l’acqua calda simile a quella a temperatura ambiente che dovremmo usare per lavarci più frequentemente le mani e non lo facciamo. Èl’acqua calda che rinvia alle mascherine che non abbiamo sempre usato e all’odioso distanziamento sociale spesso e volentieri inosservato. È l’acqua calda delle tante altre cose scontate che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, così consentendo al Virus d’insediarsi nel nostro ambiente umano e di renderci da mesi impossibile la vita materiale e psicologica, come se non fosse stata già abbastanza complicata da sé.
Il tempo stringe, i contagi aumentano, i posti letto ospedalieri sono agli sgoccioli. Diamoci una mossa, noi tutti comuni mortali. Ma se la diano, possibilmente subito e forte, anche quei pochi medici di base, tra i tanti in trincea, che si stanno mostrando – diciamo così – un tantino pigri, e ai quali non si chiede di fare gli eroi, di morire per gli altri, ma semplicemente il proprio dovere, peraltro ben remunerato. Si diano una mossa aggiuntiva, infine, i vertici e i dirigenti di tutte le aziende sanitarie e ospedaliere: non possono far miracoli, ma a loro – sì – bisogna chiedere di fare gli eroi.
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