La patrimoniale, una tassa utile o solo iniqua?
Di Carmine Cioppa
In una conversazione con Bianca Berlinguer a “Carta Bianca”, Massimo Cacciari ha suggerito il ricorso alla “patrimoniale” come equilibrato provvedimento di ridistribuzione della ricchezza in un momento drammatico per la nostra economia. L’argomento è stato ripreso, a livello politico, anche da chi ne ha evidenziato la forte iniquità.
Cerchiamo di capire, anzitutto, di cosa si tratta.
E’ un tributo, più specificamente un’imposta, che si applica al patrimonio complessivo, sia mobile che immobile, danaro, case, azioni, obbligazioni, posseduto da una persona fisica o da una società.
In genere è straordinaria e variabile, nel senso che aumenta progressivamente in relazione all’ammontare del patrimonio.
Ha lo scopo di assicurare allo Stato risorse aggiuntive per far fronte a costi legati ad eventi eccezionali.
Storicamente si è accompagnata ad eventi bellici, per finanziare, col governo Nitti, gli armamenti nella prima guerra mondiale, e successivamente della guerra in Libia ed, infine, quelli della seconda guerra mondiale.
Nel periodo fascista ha assunto anche l’aspetto etico del donare l’oro alla Patria per trasformarlo in cannoni, un gesto solo all’apparenza volontario.
Il ricordo più recente e sgradevole risale al 1992, col governo Amato, quando, nel cuore della notte, fu deciso di prelevare il 6 per mille dai saldi dei conti correnti bancari, anche se determinati in alcuni casi dall’accredito di un mutuo o di uno sconto di cambiali, cioè rivenienti da un debito.
Un prelievo forzoso, quindi, di circa 12 miliardi di vecchie lire, per fare approvare il giorno successivo una manovra finanziaria che doveva scongiurare l’uscita della lira dallo scudo protettivo dello Sme, il sistema monetario europeo, che assicurava una parità di cambio predeterminata con le altre valute.
L’operazione non riuscì, ma quel prelievo ha lasciato il ricordo di uno Stato che mette le mani in tasca del contribuente e sui suoi risparmi liquidi.
Non ci sono accorgimenti per evitarla, perché, come detto, si estende al “patrimonio” nelle sue diverse forme. Dobbiamo diffidare, perciò, di consigli su investimenti in titoli azionari o obbligazionari o in immobili, o in oro, che verrebbero ugualmente colpiti ed avrebbero maggiore difficoltà di realizzo, in caso di necessità.
La eventuale applicazione impoverirebbe ulteriormente un’economia fortemente colpita dagli effetti della pandemia, senza trascurare che si tratta di un balzello sul patrimonio, che già sconta le varie imposte sul reddito.
E, poi, di imposte sul patrimonio ne abbiamo già tante, l’Imu, la tassa di successione, anche se con un’apprezzabile franchigia, il bollo sui c/c e l’imposta sulle giacenze dei depositi titoli, per citare le più note.
I fautori di questa ipotesi pensano che si compenserebbe così lo squilibrio tra l’elevatissimo debito pubblico ed il contenuto debito privato. E’ la caratteristica della nostra economia, a differenza di quanto si verifica negli altri Paesi; il sistema americano, per fare un esempio, facilita i privati ad indebitarsi per ogni tipo di acquisto, dalla casa all’auto, ai mobili, ai beni voluttuari. Ne deriva che il debito privato è ingente, mentre quello pubblico, rapportato al Pil, è largamente inferiore al nostro; il che si verifica anche in altri paesi europei. Insomma, noi siamo in grado di coprire in qualsiasi momento il debito dello Stato con i nostri risparmi, pari, a fine 2019, a 4.445 miliardi, a fronte di un debito pubblico di circa 2.700miliardi
E’ corretta una manovra che intacchi, sia pure con qualche prelievo limitato, la nostra propensione al risparmio?
Siamo un popolo di formiche e questo ci deriva dall’esigenza, avvertita in fase costituente, di non ripetere i disastri monetari delle due guerre mondiali. Non a caso il risparmio è un bene tutelato costituzionalmente.
Due le alternative possibili e tra di loro compatibili : incentivare l’investimento volontario di quel risparmio verso strumenti utili alla crescita dell’economia ed avviare una seria politica di lotta all’evasione fiscale.
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