Dalla scuola ai posti letto Covid: l’Irpinia che protesta mentre il virus uccide
Partiamo dalla pronuncia Tar sulla chiusura “in presenza” delle scuole in Campania per poi tornare sul problema dei nuovi posti letto Covid in Irpinia ordinati dalla Regione e che l’Azienda “Moscati” ha deciso di reperire nel plesso ospedaliero di Solofra, con ciò suscitando reazioni polemiche da parte di tre sindaci di quel versante territoriale.
Il Tar, notizia di ieri, ha respinto i ricorsi contro l’ordinanza di De Luca con la quale venerdì scorso è stato disposto l’obbligo di svolgimento, per due settimane, dell’attività didattica “a distanza”. Il dispositivo del Tribunale non sembra lasciare margini alla probabilità di successo di un eventuale appello al Consiglio di Stato.
Difatti in esso si rileva, tra l’altro, che la Regione “ha esaurientemente documentato l’istruttoria sulla base della quale ha inteso emanare la gravosa misura sospensiva; dando conto, in particolare, quanto alla idoneità della misura adottata, della correlazione tra aumento dei casi di positività al Covid-19 e frequenza scolastica (verificata non solo limitatamente alla sede intrascolastica, ma anche con riguardo ai contatti sociali necessariamente “indotti” dalla didattica in presenza), nonché della diffusività esponenziale del contagio medesimo”.
Insomma, al di là del freddo linguaggio giuridico, il provvedimento del Tar racconta che De Luca non si è alzato venerdì mattina con il “piccio” di negare agli studenti campani il diritto al Sapere, ma ha dovuto assumere una decisione, immaginiamo molto sofferta, per il superiore dovere di contrastare la diffusione sempre più massiccia e veloce del Virus in Campania.
Ora e naturalmente, come del resto abbiamo già sostenuto nell’Editoriale di domenica, ciò non vuol dire che genitori e studenti abbiano a loro volta il “piccio” di protestare per lo sfizio di far dispetto al governatore. Tutt’altro. La didattica a distanza, che significa “anche” starsene a casa, induce nelle famiglie non pochi problemi logistici, specie in quelle in cui ci sono ragazzi dai 5 ai 13 anni che frequentano le elementari e le medie. Uno per tutti: chi guarda i figli se i genitori devono recarsi al lavoro?
Meno rilevante, invero, appare l’altro motivo lamentato nelle contestazioni, ossia il maggiore impulso all’apprendimento prodotto dalle lezioni “in presenza”: chi ha voglia e volontà di studiare e imparare, seppure con qualche difficoltà in più senza il prof, ci riesce. Si vuol forse negare che tanti autodidatti hanno fatto più e meglio di chi ha frequentato regolarmente i corsi scolastici?
Piuttosto il problema è che s’impoverisce la socialità. Epperò qui non si sta parlando di scelte volontarie: la cosa più normale in situazioni straordinarie è che si debbano fare cose “anormali”; e rinunce importanti. Nella fattispecie, si è obbligati ad accettare una limitazione delle proprie libertà. Se non fosse così, significherebbe che non c’è il Covid, che ci stiamo masochisticamente inventando tutto: niente contagi, niente ricoveri in terapia intensiva, niente decessi. Invece e purtroppo, il Covid c’è, semina sofferenze e morti, e disagi e danni: e come il buio della notte, non ci impedisce soltanto di vedere, quant’anche e soprattutto ci cala il peso dell’angoscia sull’anima, cinicamente ci disarma perfino della speranza.
Chi ha prodotto ricorso al Tar contro l’ordinanza di De Luca è stato mosso da ragioni più che legittime. Abbiamo una legislazione che tutela i nostri diritti. Più che legittimo sarebbe anche l’appello al Consiglio di Stato. Ma lo abbiamo scritto poco fa: molto probabilmente servirebbe soltanto a sprecare soldi e tempo, a farci distrarre dal resto, o almeno dalla parte drammatica del resto.
Il resto drammatico di oggi, in Irpinia come altrove, è questa storia dei posti letto Covid che bisogna avere in disponibilità il più presto possibile: perché il Covid – ripetiamo – c’è, circola, infetta, uccide. E noi abbiamo il dovere di fare tutto ciò che è possibile, come giustamente dice De Luca, per impedirgli di uccidere. Ciò che possiamo fare, in attesa del vaccino, è alzare e organizzare al massimo le trincee a difesa dei più deboli e dei più sfortunati. Quelle trincee sono le terapie intensive: è lì che si decide la battaglia finale. Se le hai, puoi salvare tante vite. Se ne sei sprovvisto, è la fine, salvo un miracolo.
Invero, non pare che finora abbiamo assistito a tanti miracoli. Ricordate i fatti della Lombardia? Ricordate le bare di Bergamo, deposte sui camion militari e fatte viaggiare verso altri cimiteri perché lì, nel camposanto di Bergamo, non c’erano più posti pronti per l’uso? Ricordate la storia del “Chi salviamo, il giovane o l’anziano?”, dovendo scegliere come utilizzare l’unico ventilatore polmonare rimasto disponibile?
In Irpinia dobbiamo incrementare il numero di posti letto Covid. È il contributo che siamo chiamati a dare per la nostra provincia e, ove occorra, per l’intera Campania oppure ancora per tutto il Paese, e potremmo doverosamente aggiungere per ogni altro Paese d’Europa.
La scelta più razionale, allo stato delle cose e vista l’urgenza, è che una cinquantina di posti letto vengano reperiti presso il plesso solofrano dell’Azienda Moscati. In questo senso si è mossa la direzione strategica della Città Ospedaliera, non potendo fare diversamente, considerato che sottrarre posti letto al Dea di secondo livello del capoluogo equivarrebbe ad impoverire i dipartimenti specialistici cui fa capo l’intera provincia e parte del territorio regionale.
Per stare alla cronaca, a fronte di una scelta ragionata e obbligata, i sindaci di Solofra, Montoro e Serino hanno sostanzialmente chiesto alla direzione del Moscati e alla Regione di bloccare tutto, perché il “Landolfi” non può essere snaturato. A differenza del caso-scuola, qui non si minacciano ricorsi al Tar, ma “barricate”. Sicché, nei fatti, invece di alzare e organizzare trincee contro il Covid, da queste parti si alzano e organizzano polemiche campanilistiche che hanno il sapore della beffa nel contesto drammatico che l’Irpinia, la Campania e l’Italia stanno vivendo.
Non meno inopportune, al riguardo, appaiono le sortite con tanti “se” ed altrettanti “ma” dei consiglieri regionali irpini. Fatta eccezione di Alaia, che senza mezze misure ha condiviso la scelta del Moscati e della Regione, gli altri o sono rimasti in silenzio (è il caso di Petracca) o si sono espressi a sostegno acritico della richiesta dei tre sindaci (ed è la volta di Ciampi), oppure se ne sono sostanzialmente lavate le mani con un assenso-dissenso condizionato all’imperscrutabilità del futuro remoto (è la posizione di Petitto).
Tutto lascia credere, insomma, che ancora una volta la politica (?) si metta di traverso sulla strada delle urgenze, facendo perdere un tempo prezioso che però in questo caso può incidere sulla vita delle persone. Anche per questo c’è da sperare che la direzione del Moscati non si lasci intimidire dalle “barricate” di certa politica, rendendosi in caso contrario complice di suggestioni localistiche che non hanno niente a che fare con il dovere di garantire la migliore assistenza ai cittadini, tanto più sotto la minaccia del Covid.
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