Il Covid “trionfa”, servono posti letto e il sindaco di Solofra fa le bizze
In questa babele che è diventata l’emergenza Covid – in Italia e in Campania, e figurarsi se poteva mancare l’Irpinia con tutti gli Statisti che si ritrova – si sta perdendo di vista la cosa essenziale. E cioè che il problema, in tutte le questioni gravi che incombono, non è chi ha torto e chi ha ragione, anche perché – a ben riflettere – hanno ragione un po‘ tutti o giù di lì. Il problema vero è che tra tanti torti e tante ragioni alla fine bisogna pur trovare delle soluzioni: ecco, il problema è che le soluzioni tardano ad arrivare, e quelle che arrivano sono comunque provvisorie.
Prendiamo, ad esempio, la madre di tutte le soluzioni: il lockdown. Il sacrificio fatto da noi italiani ha dato i suoi frutti: chiusi in casa per tre mesi, abbiamo sbattuto la porta in faccia al Virus e siamo riusciti quasi ad “asfaltarlo”. Una grande battaglia vinta semplicemente osservando le regole, insomma con l’arma del buon senso.
Era questa la soluzione ideale? Chiaramente no. Lockdown, al di là del simpatico inglesismo, significa fermare massima parte delle attività produttive, mettere il freno a mano all’economia, “sopravvivere” con le riserve familiari e delle risorse statali: detta brutalmente, significa impoverire la comunità nazionale e far aumentare il debito pubblico, che nel caso italiano vuol dire grandine sul bagnato.
Poi l’Italia è stata riaperta. Durante l’estate ci siamo rilassati più del dovuto e – peggio – ci siamo illusi che tutto fosse finito. Da un paio di settimane stiamo soffrendo la seconda ondata del Covid. Non sappiamo come andrà a finire, epperò una cosa è già certa: per stare alla nostra Campania – ma il problema riguarda l’intero Paese – ci siamo già mangiato tutto il sacrificio del lockdown.Anzi, proprio in Campania, a giudicare dai numeri dei contagi quotidianamente in ascesa , sembra che ci siamo mangiato “in anticipo” anche una parte del nuovo sacrificio che saremo costretti a fare. Per colpa di chi? Non certo del destino cinico e baro. Diversi fattori hanno concorso a determinare la condizione drammatica in cui siamo ripiombati. Serve l’elenco? Sarebbe un esercizio retorico. Produrrebbe l’unico effetto – ci risiamo – di rinvangare torti e ragioni, magari giungendo di nuovo alla conclusione che in questa babele hanno ragione tutti o giù di lì, assecondando in tal modo – involontariamente – il detto secondo cui la ragione è dei fessi.
Un solo esempio per toccare con mano. De Luca chiude le scuole per due settimane e suggerisce di tamponare con la didattica a distanza. Esplode la protesta delle famiglie: e chi mantiene i figli in casa dovendo mamma e papà andare a lavorare? Si può dire che non abbiano ragione? Assolutamente no. Ha torto De Luca? Manco per sogno. Ha ragione anche lui quando dice che “con questi numeri (di contagiati, ricoverati, e via sgranando il rosario) non servono le mezze misure, perché la priorità assoluta è salvare vite umane”.
Ed ha ragioni da vendere la scrittrice napoletana Valeria Parrella quando, riferendosi al governatore, posta: “Se, potenziati il servizio di metro e bus, la medicina territoriale e i consultori, se disponibili per tutti i vaccini antinfluenzali, avesse chiuso le scuole, avremmo capito. Ci avremmo creduto. L’avremmo saputo spiegare a noi stessi e ai nostri ragazzi”. Ragionamento che non fa una grinza, ma che non dà una soluzione, non può darla: perché tutto ciò che sacrosantamente sottolinea la Parrella è già il “passato”, e ciò che si doveva fare – non ieri, ma l’altro ieri; non solo De Luca, ma tanti altri assieme a De Luca – non è stato fatto: né in Campania né nei blasonati Veneto e Lombardia, né tanto meno nel Lazio, basti pensare ai servizi pubblici della Capitale.
Cosa fatta capo ha. Inutile girarci intorno. Il Covid circola più di prima, i posti letto dedicati si vanno esaurendo, in Campania e nel resto d’Italia la situazione si fa sempre più drammatica, è ora di smetterla con le chiacchiere e le polemiche. È ora di agire: con serietà, con rigore, con competenza, con responsabilità. Cosicché tra sei mesi o un anno non dovremo costringere ancora una volta Valeria Parrella a ripetere tutti i suoi ragionati (e rassegnati) “se”.
Serve tener conto oggi, allora, degli errori commessi, in buona o cattiva fede, e delle omissioni consumate, anche a qui prescindendo dalla “fede”, per non sbagliare ancora, che è poi il solo modo concreto di dare una mano – individuale e collettiva, in veste di comuni cittadini o in veste istituzionale – nella guerra al Covid.
E qui torna a pennello una vicenda tutta irpina, fresca di giornata, paradigmatica delle miopie strapaesane, dei campanilismi isterici, della politica locale assente, o presente soltanto per parlare noiosamente del congresso Pd, con tanto di accompagnamento delle grancasse giornalistiche tanto al quintale.
Non ce ne voglia il sindaco di Solofra, l’inarrivabile (per simpatia) Michele Vignola, se lo citiamo ad esempio di amministratore pubblico che non ha capito la gravità e la “mondialità” (lo dice la parola stessa) della Pandemia da Covid.
Dunque, le cose stanno così. De Luca – “con questi numeri dell’epidemia in Campania” – ha pensato benissimo di aumentare ulteriormente il numero di posti letto Covid per degenza ordinaria, terapia sub-intensiva e intensiva. Bisogna arrivare a 1.650 per stare tranquilli “domani” ed anche “dopodomani”, non si sa mai. Detto fatto, ha ordinato ai direttori generali di Asl e Aziende Ospedaliere di tutta le province campane, nessuna esclusa, di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo in misura proporzionale alle concrete disponibilità locali, per di più indicando tempi rapidissimi per le gare relative al fabbisogno operativo.
All’Irpinia, e siamo a noi, è toccato reperire altri 70 posti letto, 55 in capo all’Azienda ospedaliera “Moscati” (che ricomprende il “Landolfi” di Solofra) e 15 all’Asl tra gli ospedali di Ariano e Sant’Angelo dei Lombardi. Per farla breve, il “Moscati”, che nella sua area ha già destinato al Covid la Palazzina Alpi, ha pianificato presso la struttura di Solofra i posti letto richiesti sulla base di due considerazioni: 1) Mantenere la piena funzionalità delle attività specialistiche, che peraltro in un Dea di secondo livello vanno sempre tutelate, a beneficio dei cittadini dell’intera provincia, quindi compresa Solofra che dista 11 minuti d’auto da Avellino; 2) Evitare che la sottrazione di ulteriori posti letto al fabbisogno del Moscati (calcolato sulla domanda media degli ultimi anni) metta in crisi una realtà ospedaliera candidabile all’eccellenza della Sanità meridionale.
Epperò, apriti cielo! Il sindaco di Solofra – che in tempi ordinari avrà pure un qualche valido appiglio di lamentazione, ma non può essere certo così in tempi di Covid – ha minacciato come al solito le barricate, la rivoluzione all’acqua di rosa, si è lasciato andare a stucchevoli litanie demagogiche, immaginando di difendere così l’onore e lo stemma del suo Municipio.
Sicché la domanda nasce spontanea: è davvero possibile, perfino nella tragedia che stiamo vivendo, non rendersi conto che l’interesse di una intera popolazione regionale va ben oltre la punta del campanile di Solofra e di qualsiasi altro comune della Campania? Ed anche a voler stare ai ragionamenti egoistici del sindaco Vignola – in buona compagnia, ahinoi!, dei colleghi di Montoro e di Serino – bisogna davvero essere Nobel della Medicina per comprendere un concetto assolutamente elementare, e cioè che gli stessi cittadini di Solofra sono di gran lunga più garantiti – ripetiamo: distano da Avellino solo 11 minuti d’auto! –da un Dea di secondo livello ben funzionante rispetto ad un ospedale che sostanzialmente non è né carne né pesce?
Dicevamo sopra della latitanza della politica provinciale, e del Pd in particolare, di fronte a problemi della portata di quelli di cui si parla in queste settimane, non ultimo – appunto – la necessità di implementare l’offerta di posti letto Covid razionalizzando l’attuale sistema sanitario irpino. Vignola è un esponente, peraltro attivissimo di quel partito. Combatte una sua battaglia: dal suo punto di vista alta e nobile; dal nostro, miope e sciocca. La domanda, invece, è: perché se ne stanno in silenzio i suoi riferimenti politici del Pd, a cominciare dai De Luca irpini e dai Ciarcia per finire al commissario Cennamo, altro oggetto misterioso di questo partito? Non vogliono indispettire il sindaco di Solofra sempre utile in tempo di elezioni oppure ne condividono le tesi?
E perché se ne stanno zitti i quattro nuovi consiglieri regionali? Le urne sono chiuse, i giochi sono fatti, si vota tra cinque anni. Da che parte stanno, sul problema dei posti letto Covid, dalla parte del governatore De Luca o da quella del sindaco di Solofra? E perché sta zitto il sindaco di Avellino in una partita che potrebbe fortemente ledere il “Moscati”: zitto proprio lui che spesso parla a sproposito?
Ieri mattina, a Sant’Angelo dei Lombardi, hanno parlato di problemi della Sanità in questa fase i sindaci dell’Alta Irpinia: un altro stile, ragionamenti dettati dai bisogni reali di quell’area fortemente penalizzata anche dalla distanza dal Moscati (mediamente almeno un’ora d’auto, non 11 minuti!), non dagli isterismi municipalistici.
Ecco: si riparta da qui, dalla realtà e dalla serietà dei comportamenti, se le istituzioni locali e la politica non politicante vogliono davvero dare una mano all’Irpinia in questa congiuntura nera indotta dal Covid.
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