Suvvia, chiudere i locali alle 23 non è una tragedia
Era prevedibile il vespaio di polemiche che avrebbe sollevato l’ordinanza del governatore De Luca sulla chiusura anticipata di bar, vinerie e ristoranti. Categorie che hanno sofferto più di altre durante i tre mesi del lockdown, che continuano a faticare a tornare agli incassi dei mesi pre-Covid e che ora, proprio in un momento in cui stavano iniziando a tirare il fiato, tornano a vedere di nuovo nero in vista dei prossimi mesi invernali. E non ci meraviglia che anche i commercianti avellinesi, sostenuti dalle proprie associazioni di categoria, si siano rivolti all’amministrazione comunale per richiedere una maggiore flessibilità negli orari. Come non sorprende la comprensione e l’apertura mostrata sia dall’assessore alle attività produttive, Laura Nargi, che dal sindaco Gianluca Festa. Gli esercenti in questione sono il tessuto produttivo principale del capoluogo e i loro sforzi e il rispetto che hanno mostrato delle norme anti-Covid meriterebbero la fiducia che richiedono.
Ma bisogna confrontarsi con il momento che stiamo attraversando, soprattutto in regione Campania. I contagi crescono in maniera smisurata quotidianamente. Negli ultimi giorni la percentuale tra tamponi effettuati e positivi riscontrati è arrivata a sfiorare il 10%, una media da non definire critica (per intenderci, in Lombardia durante il lockdown si arrivava a superare abbondantemente il 30%), però certamente da non poter sottovalutare: la nostra regione ha il record negativo negli ultimi giorni per nuovi positivi rispetto al resto del paese, con diversi focolai distribuiti in tutto il territorio. E i numeri non sembrano affatto arrestarsi, anzi. Il governatore si è visto costretto a mettere a punto il piano C d’emergenza sanitaria per preparare gli ospedali e allargare il numero dei posti letto a disposizione.
Ora, in tutto questo, appare egoistico pensare di continuare a lavorare come se nulla fosse cambiato nelle ultime settimane. Certo, è comprensibile la preoccupazione di mettere a rischio la prosecuzione della propria attività, ma deve allo stesso momento essere capito il panico di chi teme e trema per la propria salute. Gli assembramenti sono il principale veicolo di contagio, i luoghi di ritrovo sono il principale pericolo di assembramenti. E se responsabili si sono dimostrati la maggior parte degli esercenti, purtroppo non possiamo dire lo stesso dei clienti: di immagini e video a supporto di queste verità ne abbiamo collezionati a bizzeffe. Per questo l’unità di crisi della regione ha preso una decisione sicuramente impopolare, ma inevitabile alle condizioni date.
Ciò che si chiede è dunque l’ultimo sforzo, peraltro non per un capriccio bensì per una situazione che rischia di diventare davvero critica, quando siamo solo alle porte di un lungo inverno. D’altra parte i nostri figli, perfino quelli più piccoli, stanno nelle loro classi, mascherina in volto, seduti fermi per tutte le ore di lezione, pasti e ricreazione incluse, “chiusi” nel loro metro di banco singolo, senza poter entrare in contatto con i propri compagni, dimostrando una maturità eccezionale. Alcuni di loro, pensate, la scuola non sono nemmeno riusciti a iniziarla, e da un punto di vista organizzativo per i relativi genitori, certo non deve essere semplice.
Non ci dite allora che non riusciamo a rinunciare ad andare al bar dopo le 23 o dopo mezzanotte nei fine settimana e che baristi e ristoratori non possono fare a meno, per un determinato periodo, delle ore notturne di lavoro. Evitate di contribuire ad elevare il rischio di un nuovo lockdown. E non costringete i vostri figli a rimproverarvi.
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